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BRACCIALETTO ELETTRONICO? SI’ MA SOLO PER DIELE – L’ATTORE CHE HA INVESTITO E UCCISO UNA DONNA E’ USCITO DAL CARCERE E ADESSO POTRA’ BENEFICIARE DEI DOMICILIARI – MA UN CENTINAIO DI DETENUTI (MENO FAMOSI) SONO ANCORA IN CELLA IN ATTESA DEI DISPOSITIVI CHE, DA QUANDO SONO STATI INTRODOTTI NEL 2001, NON SONO MAI STATI PRODOTTI A SUFFICIENZA
Claudia Osmetti per Libero
Chiariamo subito: Domenico Diele ha fatto bene. Ha fatto bene a chiamare a raccolta la stampa, a lamentarsi pubblicamente di una "giustizia" che gli ha sbattuto la porta in faccia e gli ha negato, per diversi giorni, il braccialetto elettronico che gli avrebbe concesso di uscire dal carcere. Era un suo diritto, non una pretesa accampata alla meno peggio. L'attore senese, arrestato lo scorso 24 giugno per omicidio stradale a Salerno, ha fatto bene a mettere in campo avvocati, giornalisti, radio e tv per scampare a quell' inferno di sbarre e secondini in cui è stato catapultato il mese scorso.
Sì, ha fatto bene: avremmo agito tutti nello stesso modo, se ne avessimo avuto la possibilità. Il problema non è lui, tra l' altro subirà un processo e vivrà sulla propria pelle le conseguenze delle sue azioni. Il problema sono gli altri 122 detenuti per i quali la macchina del ministro Orlando non si è ancora mossa. E che continuano a passare le loro giornate in gattabuia quando non dovrebbero. «Il giudice ha deciso che dovevo scontare la detenzione a casa. La notte non riesco a dormire, rivivo l' incubo. Pagherò tutto, ma fatemi uscire di qui», raccontava Diele, tra le lacrime, pochi giorni fa a un gruppetto di eurodeputati di Forza Italia che si stava interessando al suo caso. Della serie: la misura alternativa era stata decisa, ma mancava la sua attuazione. Mancava il braccialetto, cioè.
Proprio non si trovava. Ne hanno scovato uno ieri, forse nei meandri di qualche tribunale, sarà stato pieno di polvere e ancora imballato, o più probabilmente sarà stato dismesso da un altro detenuto: vai a sapere. Quel che conta è che alla fine è saltato fuori. Il ragazzo, classe 1985, un curriculum che va da Don Matteo a Mia madre, può tirare un respiro di sollievo: dopo dodici giorni di cella è stato trasferito a casa della nonna, a Roma. Non possono fare altrettanto, però, Mario e Carmelo. O magari Luigi e Gianluca.
Ossia quei detenuti ignoti (i nomi qui riportati sono ovviamente di fantasia) che non hanno dimestichezza con i telegiornali e non conquistano di certo le prime pagine dei quotidiani. Ce ne sono 122 in questa situazione: con una carta bollata in tasca che attesta la possibilità di lasciare la casa circondariale di turno e problemi burocratici che di fatto la impediscono. Per essere ancora più chiari: 122 persone, attualmente rinchiuse nelle patrie galere, avrebbero diritto a un braccialetto elettronico che non si trova.
Avrebbero, al condizionale: perché tra il dire e il fare, nel Paese dei proclami e delle intenzioni, c' è di mezzo quasi sempre un inghippo. E se il Viminale fa sempre che entro agosto potrebbero (di nuovo, periodo ipotetico) arrivare 12mila dispositivi con ancora attaccato il cartellino della garanzia, pazienza: fa caldo, si boccheggia in città, figuriamoci in una cella di sei metri quadrati e pure in condivisione con altre due o tre persone. Quando va bene. Dal 2001 a oggi di braccialetti elettronici targati Italia ne sono stati attivati duemila e, grazie a un' operazione di turni e passaggi impressionante, hanno coperto 8.856 detenuti, per un totale che sfiora i 2 milioni di giorni.
Eppure non bastano. Non sono mai bastati. Che ci fosse una carenza di dispositivi nelle prigioni tricolori non è una novità: se ne parla da anni. E ogni anno il ministro in carica garantisce che siamo alla svolta, che manca poco, che presto ne verrà acquistata (e a peso d' oro) un' altra partita. Niente. Più di un centinaio di persone ancora aspetta. Gente che qualche guaio con la "giustizia" l' ha sicuramente avuto, inutile entrare nel merito, non serve neppure. Ma a cui un giudice ha messo nero su bianco il diritto di averne uno. Di scontare la pena a casa.
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