DAGOREPORT - MA QUALE TIMORE DI INCROCIARE DANIELA SANTANCHÈ: GIORGIA MELONI NON SI È PRESENTATA…
Alberto Melloni per la Repubblica
“Come Dio comanda” non è un documentario su ciò che il papa dice o su ciò che gli si vorrebbe far dire. È un grande sforzo per far capire ciò che Francesco è: un prete disincantato fra tiepidi bigotti, un leader mondiale fra gli gnomi globali, un maschio risolto in mezzo ad insicuri arroganti, un uomo reso padre da un celibato senza febbricitazioni.
Il documentario — che andrà in onda stasera alle 23.15 su Sky Atlantic e ha avuto una preview sul sito di Repubblica — vive della voce fuori campo di Francesco: piccoli ritagli dalle interviste in spagnolo (quella di Vanguardia e quelle del direttore de La Civiltà cattolica Antonio Spadaro si riconoscono a occhio nudo): e questa voce posata su immagini prese da fonti tv e da YouTube, fa da introduzione a ritagli altrettanto millimetrici di momenti dei viaggi poco o mai visti. Una scelta di Diana Ligorio, documentarista delicatissima, che costringe a riflettere sulla sua fonte, cioè su quel corpus delle “interviste al Papa”, che ormai sono moltissime e costituiscono un genere della varia.
Sono passate ere dalla prima: quella a Leone XIII di Séverine (pseudonimo di Caroline Rémy) uscita su Le Figaro del 4 agosto 1892, che allarmò la stampa intransigente che vi vedeva un “subdolo tentativo liberale” di sconfessare l’antisemitismo “tradizionale” della chiesa e che invece oggi colpisce per l’opposto motivo.
Distante anche l’intervista di Alberto Cavallari, che il 3 ottobre 1965 pubblicò sul Corriere della sera un dialogo con Paolo VI in cui la ieraticità della domande combaciava con quella delle risposte. Poi venne il colloquio “polacco” fra Jas Gawronski e Giovanni Paolo II, uscito il 3 novembre 1993, per La Stampa. Benedetto XVI, che aveva e avrebbe usato l’intervista come strumento autobiografico, aveva accettato addirittura un’intervista televisiva, nel 2006, in cui la fissità dei corpi e delle voci prevaleva su tutto.
Poi appunto l’abbondanza di Francesco. Francesco che si procura al telefono un intervistatore della sua taglia con Eugenio Scalfari. Francesco che parla con Spadaro. Francesco che si fa intervistare a getto continuo e arricchisce — Francesco ha giustamente fatto un eccezione per Tv2000 che come primate d’Italia è “sua” — un corpus fatto di trascrizioni e traduzioni: nel quale i lettori isolano ciò che Francesco dice di “importante” e lo confrontano con quell’immagine di Francesco che monsignor Dario Viganò, regista finissimo del corpo e dell’anima del Papa, fornisce mostrando con la telecamera in mano che per far vedere il cristianesimo di Francesco basta togliere e non aggiungere zucchero sentimentale o enfasi celebrativa.
Davanti a questo corpus ormai vasto, “Come Dio comanda” cambia il punto di vista: inscena l’affanno e le pause dello spagnolo bergogliano, lo riduce a schegge unificate dall’intensità personale e le fa diventare introduzione ad immagini bellissime e spesso inedite in cui Francesco mette il suo silenzio e la sua querida presencia davanti all’irreparabile e all’ingiustizia.
Il tutto dà al film una lentezza confidenziale, intima: il “modo” in cui Francesco dice che si sente esposto al pudor machista davanti alle emozioni, che riconosce nel rischio di voler fare il parroco del mondo un delirio “immaturo”, non conta meno del “contenuto” di quelle frasi.
PAPA BERGOGLIO CON IL PAPPAGALLO
Ma dà al percorso un senso quasi testamentario: come se chi ha montato questo film avesse assorbito la “sensazione” di un pontificato breve. E si sente lo stesso Francesco affermare con la sua viva voce: «Un pontificato di 4-5 anni, però è una sensazione, per questo lascio sempre le possibilità aperte». Presagi e moniti. Come quando avverte: «La Corte pontificia mantiene una tradizione un po’ atavica, e questo deve cambiare».
papa bergoglio apre la porta santa
Unica caduta — innocua, inutile e grave — nell’explicit: il 14 gennaio 2014 Francesco consegnò un messaggio all’amico Tony Palmer, giovane vescovo evangelicale del Convergent Movement, scomparso pochi mesi dopo in un incidente stradale. Era un messaggio registrato con un telefonino e indirizzato alla Charismatic Evangelical Leadership Conference che si temeva in Texas.
Un messaggio di fraternità per chiese volentieri catalogate come “sette” dal gergo cattolico: è che è stato inserito, senza avvertenze, come fosse un addio benedicente allo spettatore; e non, come era, come uno di quegli atti che possono ridisegnare l’ecumenismo della chiesa cattolica e dunque l’autocomprensione della chiesa.
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