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Valeria Vantaggi per vanityfair.it
Si chiama Aaron, è di Roma, ha 30 anni e di lavoro fa lo gigolo: «Amo il mio lavoro e voglio metterci la faccia proprio per sdoganare la figura dell’accompagnatore: la gente ha ancora tantissimi pregiudizi». E, aihmé, ha già indovinato perché, appena dice quello che fa, è difficile trattenere una morbosa curiosità.
Come ha scelto di fare questo mestiere?
«Mi è successo. Io ero un pasticcere e qualche anno fa mi ero trovato un po’ in difficoltà con i soldi: avevo preso una casa in affitto e un giorno in pasticceria stavamo parlando di quanto costasse arredare una casa, di quante spese annesse uno si dovesse trovare a sostenere.
La mia titolare mi disse che forse era il caso che io mi trovassi un altro lavoro per arrotondare e una cliente che era lì mi disse che forse lei aveva un’idea. Mi lasciò il suo numero e dopo un paio di giorni ci incontrammo. Lei mi parlò di suo marito, di come lui la tradisse e di come lei fosse insoddisfatta e così mi offrì dei soldi per passare la notte con lei e io accettai, tanto più che l’avrei passata anche se non mi avesse pagato. Da lì cominciò tutto. Fu lei a crearmi i primi contatti. La cosa andava bene e decisi di lasciare il mio lavoro da pasticcere… Non fu semplice perché avrei mollato un mestiere sicuro per qualcosa che non sapevo come sarebbe andata».
Quanti anni aveva quando ha cominciato?
«26 e cercavo qualcosa nella mia vita che mi potesse dare un’emozione. Ero un frequentatore di club privé e sono sempre stato molto curioso…»
Che formazione ci vuole per fare un lavoro come il suo?
«Uno pensa che per fare l’accompagnatore basti essere un belloccio palestrato. Ma così non è. Io ho fatto corsi di francese e di inglese, ho imparato il tango e la samba, mi sono applicato per mettere a punto la mia videorubrica sulla sessualità e sto lavorando sodo per partire con degli info prodotti, lezioni on line su come diventare l’amante perfetto, su come saper sedurre… Insomma, ci vuole un vero investimento e non bisogna mai smettere di imparare».
Che tipo di clienti ha?
«Una donna agé e un po’ ninfomane? No, assolutamente. Il più delle volte sono donne che vogliono sentirsi nuovamente importanti. Capita poi che ci siano quelle represse sessualmente, magari vergini di una quarantina d’anni, che si vergognano della loro verginità. Il problema è che spesso queste donne non hanno avuto dei rapporti perché hanno subìto violenze o soprusi. Per cui ci vuole delicatezza. È un lavoro molto più di testa di quello che si pensi».
Richieste di servizi strani?
«Sì, spesso. Una volta mi ha chiamato un uomo che voleva mettere alla prova la sua ragazza, con cui si sarebbe sposato di lì a poco. Mi ha raccontato tutto di loro e abbiamo creato un’occasione di incontro tra me e lei. Appariva tutto casuale e io, che già sapevo la sua canzone preferita, i suoi gusti sul cibo, le sue piccole manie, sembravo il suo ragazzo perfetto. L’ho tentata, ci siamo baciati, poi lei, però – per fortuna! – si è sottratta e non è voluta venire a letto con me. Mi chiamano mariti che vogliono separarsi e vogliono cogliere la moglie in flagrante, mi chiamano donne che vogliono festeggiare il compleanno con le amiche e, dopo la cena, vogliono delle sorprese… Insomma, ormai, in tutti questi anni, ne ho viste tante».
Quante ore lavora al giorno?
«Ventiquattr’ore su ventiquattro. Il mio lavoro non consiste solo nell’appuntamento: prima di quello, tra messaggi e telefonate, possono passare anche giorni. C’è spesso una fase di corteggiamento. Con le donne ci deve essere un gioco mentale, devi arrivare a far l’amore con il cervello prima ancora che con il fisico. Una donna non può provare piacere se prima non l’hai davvero conquistata».
Ma non c’è imbarazzo nel momento del pagamento?
«Sì, è un gesto che ancora mi imbarazza un po’. Mio nonno era siculo e una donna non doveva mai tirare fuori il portafogli. Talvolta, proprio per evitare quel tipo di disagio, mi faccio pagare prima, o con bonifico o in contanti, in modo che io possa poi pensare eventualmente a pagare il ristorante senza far sì che sia lei formalmente a pagare il conto della cena. Altrimenti, se non c’è questo problema, mi faccio pagare dopo: non vorrei che il pagamento anticipato sembrasse una mancanza di fiducia».
Lei fa fattura?
«Sì, ho una partita Iva come organizzatore di eventi».
Ma quanto prende all’ora?
«Non ho un tariffario orario. Diciamo che una serata va dai 500 ai 700 euro, ma non sto lì con il timer».
Come può essere sempre pronto? E se la persona che si trova davanti proprio non le piace?
«Intanto non nego che a me piace la trasgressione e partire con un appuntamento al buio mi prende sempre bene e mi eccita. E poi ho imparato a lavorare con i cinque sensi: non importa se una donna non è bella, non c’è solo la vista…. Avrà magari un buon odore, avrà una bella voce… Ci sono tante cose su cui ci si può concentrare».
Ma lei dice in giro il mestiere che fa?
«Certo, perché non dovrei? Sanno tutti quello che faccio, anche il fruttivendolo sotto casa… È quello su cui mi sto impegnando: vorrei che non ci si vergognasse più».
Non capita mai che si affezioni a qualche cliente?
«Io quando esco con una donna, se mi sento a mio agio, non penso che sto lavorando. Sono una persona normale, pure io vivo di emozioni. Mi capita che delle donne mi chiamino più volte e, se ci sto bene, subentra anche l’affetto. Non è facile calibrarsi: devo essere bravo io a non farmi coinvolgere troppo e devo essere capace a frenare eventuali infatuazioni».
Non la chiamano mai degli uomini per delle prestazioni sessuali?
«Sì, certo, ma io sono eterosessuale convinto. E mi verrebbe da dire “purtroppo”: se non lo fossi avrei decisamente più lavoro. E poi devo confessare che mi piace di più il rapporto che si crea con una donna, è un approccio psicologico molto più interessante».
Da dove prende le sue ispirazioni?
«Beh, indubbiamente American Gigolo è stato un riferimento: Richard Gere nel film è sempre ben vestito, un super figo, che sa sette lingue, un uomo tutto d’un pezzo, l’uomo dei sogni. Poi ho pure capito che la cosa migliore è comunque essere se stessi. Alle donne, alla fine, piacciono le piccole cose, i gesti quotidiani e non bisogna pensare a cose strabilianti. È strano pensarlo, ma spesso con un accompagnatore funziona la chiave della sincerità: si crea un rapporto vero, in cui nessuno ha bisogno di mentire, in cui si è liberi di essere quelli che si è, senza giudizi».
Ma non pensa che esponendosi poi una donna non abbia voglia di uscire con lei, che, se troppo famoso, diventa poi riconoscibile?
«No. Credo anzi che una donna possa sentirsi rassicurata, che possa così avere dei riferimenti. E poi comunque può pure far piacere uscire con uno che è minimamente famoso, che va in Tv, che appare sui giornali. E,ribadisco: non ci si deve vergognare se si esce con un accompagnatore. Dovremo arrivarci, prima o poi…».
Ma secondo lei perché una donna chiama uno gigolo?
«Fondamentalmente perché è sola. La solitudine è la prima molla. Ma può anche farlo per passare del buon tempo: come se andasse a farsi una vacanza in una spa, come se andasse a vedersi un bello spettacolo a teatro… Semplicemente per stare bene».
Ma fra qualche anno quando lui non funzionerà più con questo vigore?
«Ci sto già pensando e per quello mi sto dando da fare con la creazione di un mio brand per una linea di profumi e una di gioielli da uomo. Il mio sogno sarebbe quello di diventare il riferimento per tutti gli accompagnatori, creando una sorta di academy. Ciò detto, mio padre, che ha 65 anni funziona ancora benissimo, per cui ho ancora del buon tempo davanti per continuare a fare quello che faccio».
Lei è fidanzato?
«No, sono single».
Un riferimento per chi volesse contatattarla?
«Il mio sito, c’è tutto: www.aarongigolo.com».
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