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DOPO QUASI SESSAN’TANNI, I MONACI CISTERCENSI LASCERANNO IL COMPLESSO MONUMENTALE DELLA CERTOSA DI PAVIA, DOVE RISIEDONO IN FORMA STABILE DAL 1968 – DAL PRIMO GENNAIO 2026, IL SANTUARIO VERRÀ GESTITO DAL MINISTERO DELLA CULTURA ATTRAVERSO LA DIREZIONE REGIONALE DEI MUSEI NAZIONALI DELLA LOMBARDIA. SI PAGHERÀ IL TICKET PER VISITARLO – CHE FINE FARANNO I RELIGIOSI? IL VESCOVO SANGUINETI: “SIAMO IMPEGNATI A CREARE UNA NUOVA COMUNITÀ RELIGIOSA CHE ASSICURI LE MESSE DOMENICALI...”

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Estratto dell’articolo di Andrea D’Agostino per “Avvenire”

certosa di pavia

   

È uno dei monumenti lombardi più famosi, capolavoro dell’architettura di età viscontea a cavallo tra gotico e rinascimento. La Certosa di Pavia, con la sua inconfondibile facciata, i grandi chiostri e il terreno circostante ha una storia ultrasecolare che si intreccia con quella di un altro celebre monumento, il Duomo di Milano: entrambi vennero fondati alla fine del 1300 da Gian Galeazzo Visconti.

 

Pur non avendo avuto la fortuna “letteraria” di un’altra Certosa, quella di Parma – anche se Stendhal la cita solo alla fine del suo romanzo – questa di Pavia mantiene intatto ancora oggi il suo fascino, anche grazie alla presenza di una piccola comunità di monaci cistercensi qui insediata dal 1968. Dal prossimo anno, tuttavia, i monaci lasceranno la Certosa.

 

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La notizia arriva da fonti dirette, ovvero dal vescovo di Pavia Corrado Sanguineti e da Rosario Maria Anzalone, a capo della direzione regionale Musei nazionali della Lombardia. Il vescovo sta cercando una comunità religiosa che possa prendere il posto dei monaci (che non dipendono comunque dalla diocesi).

 

«Sono in contatto con loro – racconta Sanguineti –, ne ero già stato informato da tempo. È una decisione che dispiace anche a me, ma i monaci sono pochi e anziani. Quello che posso dire al momento è che mi sto impegnando per trovare un’altra comunità religiosa che possa assicurare una presenza per celebrare la Messa la domenica nella basilica di Santa Maria delle Grazie».

 

La decisione è stata presa dalla Congregazione Casamariensis, il cui nome deriva dall’abbazia di Casamari (Frosinone), dove si trasferiranno i monaci ancora presenti a Pavia. «Siamo rammaricati ma comprendiamo i motivi di questa scelta», spiega Anzalone, dal 2024 alla guida dell’istituto del ministero della Cultura che gestisce, oltre alla Certosa, altri 12 luoghi della cultura statali in regione.

 

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Riassumiamo la vicenda: attualmente è in vigore un protocollo d’intesa decennale, siglato nel dicembre 2016 dal Segretariato regionale per la Lombardia dell’allora MiBact, dalla direzione regionale Lombardia dell’Agenzia del Demanio e da padre Alberto Celestino Parente in qualità di priore del monastero della Certosa.

 

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La proprietà della Certosa è del Demanio e il ministero della Cultura ne ha la consegna, garantendo tutela e pubblica fruizione attraverso sei unità di vigilanza privata. Negli ultimi mesi, prosegue Anzalone, sono stati fatti diversi incontri con i monaci, anche alla presenza dell’abate di Casamari padre Loreto Camilli.

 

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«Ho rivolto più volte l’invito a riconsiderare la scelta di lasciare la Certosa, eventualmente valutando anche un possibile rinnovo del protocollo, ma il capitolo dell’ordine aveva ormai deliberato lo spostamento della comunità monastica a Casamari. Questa decisione rappresenta una perdita, ma è pur vero che la comunità monastica si è progressivamente ridotta negli anni fino alle attuali sei unità. Andava fatta una scelta: il protocollo non verrà rinnovato».

 

Per la Certosa di Pavia, dunque, si aprirà a breve una nuova fase. Il complesso sarà gestito con nuovi presupposti e con l’obiettivo di renderlo ancor più fruibile. Fino ad oggi i visitatori in media sono stati circa 140mila l’anno, l’ingresso è gratuito dal martedì alla domenica, con orario spezzato dalla chiusura all’ora di pranzo, e una libera offerta per la visita guidata dei monaci.

 

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Da gennaio 2026 verrà ampliata l’apertura giornaliera, introducendo l’orario continuato e un biglietto d’ingresso il cui importo sarà definito nei prossimi mesi. […]

 

 C’è poi il podere agricolo che si estende per ben 35 ettari: «Attualmente è coltivato a riso e granturco – precisa Anzalone –, raccolti, lavorati e infine venduti in un piccolo negozio gestito dai monaci. È una risorsa preziosa, ma dalla gestione non semplice».

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