“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
1. EBOLA PERICOLOSA COME L’AIDS
Alessandro Oppes per “la repubblica”
Mentre peggiorano all’improvviso le condizioni dell’infermiera spagnola malata di ebola, affetta da «gravi problemi respiratori», la sorpresa arriva dalla Macedonia, con la notizia della morte di un cittadino britannico, sospetto di aver contratto il virus Ebola. Un caso del quale neppure a Londra erano a conoscenza, tanto che a tarda sera il Foreign Office era ancora in attesa di conferme dettagliate.
A quanto rivela un’emittente di Skopje, Alfa Tv, l’uomo deceduto poco dopo il ricovero in ospedale presentava tutti i sintomi caratteristici della malattia, anche se i medici non dispongono ancora dei risultati delle analisi. Proprio ieri il governo Cameron aveva deciso di intensificare i controlli negli aeroporti sui passeggeri provenienti dalle zone a rischio. Una misura che ricalca quella che entrerà in vigore da domani anche nei principali scali degli Usa, a partire dal Jfk di New York, dove gli addetti alle pulizie hanno deciso di scendere in sciopero per paura di contrarre il virus.
Mentre a Lipsia è sbarcato ieri il terzo paziente tedesco malato di Ebola (è stato infettato in Liberia mentre lavorava per l’Onu), l’allarme si estende a macchia d’olio nel mondo. Un’epidemia che costituisce «la più grande sfida dai tempi della comparsa dell’Aids», è la dichiarazione-shock della massima autorità sanitaria Usa, Thomas Frieden, direttore dei Centers for Disease Control and Prevention. «Sarà una guerra lunga», ha avvisato, parlando a Washington alla riunione tra i vertici di Onu, Banca Mondiale e Fmi con i presidenti dei paesi africani più colpiti, che chiedono aiuti d’emergenza per far fronte alla crisi.
teresa romero, l’infermiera contagiata
A Madrid, è stato il fratello di Teresa Romero, José Ramón, a rivelare per primo che lo stato di salute dell’infermiera colpita da Ebola sta peggiorando. Gravi problemi respiratori, risposta insufficiente alla terapia.
Poco dopo, la dottoressa Yolanda Fuentes, vice-direttrice dell’ospedale «Carlos III», ha dovuto ammettere un «deterioramento» delle condizioni di salute di Teresa. E dire che poco prima, a conferma dell’assoluta mancanza di coordinamento nella gestione di questa crisi, il presidente regionale Ignacio González aveva assicurato che la salute della paziente stava migliorando. Salvo poi riconoscere che è «in grave pericolo di vita».
Attualmente, sono sette le persone in osservazione, compreso il medico dell’ospedale di Alcorcón che le prestò il primo soccorso.
L’allarme si è esteso da ieri anche all’Italia con il ricovero allo «Spallanzani» di Roma di un medico di Emergency rientrato dalla Sierra Leone. Il sospetto che si trattasse di Ebola è stato comunque subito fugato sia dai sanitari dell’istituto specializzato nella cura delle malattie infettive, sia dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin
thomas eric duncan primo malato di ebola in america
«I test sono risultati negativi». Ed è lo stesso figlio del professionista a invitare alla calma: «Non bisogna creare allarmismo. E’ in osservazione, ma sta bene». Intanto, a Fiumicino e Malpensa sono entrate in azione squadre di medici per il controllo dei passeggeri provenienti dai paesi a rischio. In caso di emergenze potranno contare su ambulanze speciali ad alto-biocontenimento.
2. ORA BIG PHARMA FIUTA L’AFFARE
Ettore Livini per “la Repubblica"
thomas eric duncan primo malato di ebola in america
“ Follow the money”. Segui i soldi, diceva la gola profonda dello scandalo Watergate. Vale pure per capire come mai nel 2014 — malgrado i 130 miliardi investiti ogni anno da Big Pharma per andare a caccia di nuove medicine — nessuno abbia ancora messo a punto un vaccino contro l’Ebola. Questione di soldi, appunto: «L’Ebola è una malattia tipica della gente povera nei paesi poveri — è il mantra rassegnato di Marie Paule Kieney, assistente alla direzione generale dell’Organizzazione mondiale della sanità — per questo nessuno ha davvero interesse a studiare come combatterla».
E solo ora che il virus è sbarcato in Occidente (e qualcuno inizia a fiutare la possibilità di fare affari) è scattato l’allarme rosso, con tanto di ok all’utilizzo di protocolli sperimentali per trattare i malati e con una prima pioggia di fondi pubblici per sostenere le case farmaceutiche più avanti nella strada per arrivare al vaccino.
Il copione è un deja vu. Andato in onda con la Sars e l’influenza A. «Il business dei vaccini è in mano a 4-5 colossi — è la spiegazione di Adrian Hill, professore a Oxford e responsabile del team inglese incaricato daDavid Cameron di dare la risposta d’emergenza all’epidemia — avremmo potuto stroncare l’ebola da anni. Ma è impossibile perché è un “ no business case ” ». Tradotto in soldoni: inutile sprecare miliardi in ricerca e sviluppo per mettere sul mercato un medicinale che serve a poche migliaia di persone. «Molte delle quali — ironizza Hill — non avrebbero i soldi per pagarlo».
tekmira compagnia farmaceutica che lavora al vaccino per ebola
Se serviva una conferma a questa teoria, basta guardare a Wall Street. Ora che il pericolo Ebola è diventato un incubo globale, i titoli della Tekmira — titolare di uno dei farmaci più promettenti — hanno messo le ali, guadagnando quasi il 50% in poche sedute. Il codice postale, per Big Pharma e per la Borsa, conta più di quello genetico. Il rischio contagio è uscito dall’Africa per diventare planetario. La comunità internazionale — memore della Sars (800 morti, ma danni tra i 40 e gli 80 miliardi al commercio mondiale) — è scesa in trincea togliendo il tetto ai 15 anni sulla sperimentazione e varando aiuti per i prodotti più promettenti. E i giganti del farmaco, follow the money , hanno iniziato a scendere in campo.
È l’amaro destino delle malattie povere. Se non ci sono soldi da guadagnare, nessuno si occupa di curarle. I numeri parlano da soli: secondo uno studio pubblicato da “The Lancet”, su 336 medicine sviluppate tra 2000 e 2011 per affrontare pa- tologie irrisolte, solo quattro erano per quelle “trascurate”. Tre per la malaria, una per le diarree tropicali. Dei 150mila test di laboratorio approvati nello stesso periodo, solo l’1% si occupava dei virus che non colpiscono i paesi più ricchi. Nel 2012 — ultimo dato disponibile — sono stati spesi 3,2 miliardi di dollari (su 130 totali) per fare ricerca sulle malattie dei poveri. E di questi solo 527 milioni arrivano dall’industria, mentre il resto esce dalle tasche di enti pubblici o fondazioni private.
Quella di Bill e Melinda Gates, per dire, ha investito decine di miliardi per affrontare il problema e ha appesa messo 50 milioni per affrontare il caso Ebola. L’Oms sta cercando da anni di dare risposta a questo problema. Concertandola, come inevitabile, con Big Pharma.
Il primo risultato è la Dichiarazione di Londra del 2012: mette nel mirino 17 patologie dei paesi del terzo mondo (malaria, tubercolosi, lebbra, vermi intestinali, non ebola) e vincola i firmatari — tra cui i maggiori colossi del settore e i mecenati come l’ex numero uno di Microsoft — a debellarne entro il 2020 almeno dieci. E qualche risultato è già arrivato: Nigeria e Costa d’Avorio hanno sconfitto definitivamente il verme della Guinea, il Marocco si è liberato del tracoma mentre in Colombia ed Ecuador è sparita l’oncocercosi, la cecità dei fiumi.
L’impegno dei privati, comunque, arriva con il contagocce: l’86% dei prodotti sviluppati ad hoc nasce da accademie e dallo stato. Glaxo-Smithkline, uno dei big più avanti anche sul fronte ebola, ha in avanzata fase di sviluppo una medicina contro la malaria che venderà a prezzo politico, il 5% in più del costo di produzione. Sanofi ha messo a punto un prodotto antidengue. Ma vista la rapidità con cui la patologia si sta sviluppando in Occidente non farà sconti a nessuno. Incasso previsto con la vendita: un miliardo l’anno. Il doppio di quanto l’intera industria di Big Pharma investe in dodici mesi contro le malattie povere.
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