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ESCORT…A PAGARE LE TASSE – LA DECISIONE DEL FISCO DI REGOLARIZZARE LA PROSTITUZIONE CON L’INTRODUZIONE DI UN CODICE ATECO DEDICATO ALLE “SEX WORKER” SCATENA MOLTI DUBBI – LA STAMPA: “NEL MOMENTO IN CUI PROSTITUIRSI È UNA LIBERA SCELTA, COSA VISTA SOLO IN UN FILM DI BUÑUEL DEL 1967, È LEGITTIMO PAGARCI LE TASSE. NEL CASO IN CUI LA PROSTITUZIONE NON FOSSE UNA LIBERA SCELTA, COSA CHE  VISTA OVUNQUE, DA SEMPRE, QUELLO È SFRUTTAMENTO, E NON HA NIENTE A CHE VEDERE COL LAVORO, MA MOLTO A CHE VEDERE COL CODICE PENALE. QUASI TUTTO IL RESTO È UN..."

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Assia Neumann Dayan per “la Stampa” - Estratti

 

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"Sex work is work" dice il movimento transfemminista, e sembra che l'Istat si sia unito alla lotta intersezionale.

 

Partirei da una considerazione: nel momento in cui prostituirsi è una libera scelta, cosa che io ho visto solo in un film di Buñuel del 1967, è legittimo farlo, pagarci le tasse, avere tutte le tutele del caso. Nel caso in cui la prostituzione non fosse una libera scelta, cosa che invece ho visto ovunque, da sempre, quello è sfruttamento, e non ha niente a che vedere col lavoro, ma molto a che vedere col Codice penale. Quasi tutto il resto è un argomento fantoccio.

 

Il giornale Open ieri ha riportato che l'Istat ha attribuito alla prostituzione un codice Ateco con il nome di "Servizi di incontro ed eventi simili". Questo codice riguarda le attività di escort, l'organizzazione di eventi di prostituzione, servizi sessuali, incontri, gestione di locali di prostituzione. Le attività di organizzazione immagino che entrino in conflitto con il reato di sfruttamento della prostituzione e francamente non mi pare una cosa da niente.

 

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Il codice Ateco ha avuto il suo momento di gloria durante il Covid, e adesso è tornato in forma smagliante per ricordarci che il lavoro è lavoro, e le tasse sono tasse: prepariamoci a un futuro prossimo di articoli sugli uomini che proveranno a detrarre, a pagare col pos o con Satispay. Per la nuova generazione di transfemministe pare che tutto sia patriarcato tranne la prostituzione, anzi il sex work, che a dirlo in inglese sembra meno brutta pure lei.

 

 

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Da quello che ho potuto capire, tra un termine anglofono e una marea di vocali, molto del concetto sex work is work oggi ha a che fare con OnlyFans. Essere un creator di OnlyFans, una piattaforma dove si possono vendere contenuti espliciti spesso di natura sessuale, è considerato lavorare nel mondo della prostituzione. Direi che la differenza tra una donna che lavora in strada e ha rapporti sessuali con i clienti e una donna che lavora in camera sua facendo finta di avere rapporti sessuali con i clienti, mi basta per considerare quello su OnlyFans un lavoro impiegatizio. Vendere l'immagine del proprio corpo e vendere il proprio corpo non sono la stessa cosa: la legittimità sul farlo o meno è solo legata a una libera scelta personale.

 

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Già parlare di sex work mi sembra manipolatorio, figuriamoci dire che una cameriera che usa il suo corpo per lavorare fa la stessa cosa che fa una prostituta.

 

 

Si è molto parlato ultimamente di una maestra che è stata allontanata dalla scuola materna parrocchiale dove insegnava perché aveva un profilo OnlyFans: my body, my choice, e sulle scelte ci si pagano sopra le tasse, e le conseguenze. C'è una generazione che è cresciuta con il poster di una accompagnatrice in salotto senza farsi troppe domande sulle transazioni economiche tra lei e gli uomini facoltosi che frequentava, forse erano tutti più concentrati sul tubino, sul gatto e sulla vetrina di Tiffany. Holly Golightly avrebbe risolto metà dei suoi turbamenti con un codice Ateco e un profilo OnlyFans, risparmiandoci anni di arredamenti brutti.

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