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Francesca Basso per il “Corriere della Sera”
Dalla parte dei consumatori. E questa volta sotto la lente della Commissione Ue c’è Disneyland Paris. Bruxelles ha chiesto alla Francia di indagare se il parco divertimenti di Topolino e compagni faccia pagare prezzi più alti ai visitatori provenienti da altri Paesi rispetto ai francesi, violando le regole del mercato unico. La Commissione Ue ha cominciato a fare verifiche dopo aver ricevuto una serie di lamentele.
La Francia deve chiarire la situazione perché è responsabilità degli Stati membri far rispettare le regole europee e se non lo farà in modo esaustivo la Commissione Ue potrà portare il caso alla corte di Giustizia della Ue. Intanto è il parco di divertimenti alle porte di Parigi a fornire le prime giustificazioni: «I nostri prezzi sono strettamente gli stessi in tutta l’Unione europea», ha detto il vicepresidente di Disneyland Paris, Julien Kauffmann.
C’è però il caso del pacchetto premium , sollevato dal Financial Times: il parco lo fa pagare 1.346 euro a un visitatore francese, mentre un inglese ne deve sborsare 1.870 e un tedesco 2.447. Disneyland Paris precisa che solo le promozioni possono variare a seconda del Paese. Sulla carta non c’è nessuna violazione: applicare prezzi diversi in diversi mercati non è illegale — spiega la portavoce del Mercato interno guidato dalla commissaria Elzbieta Bienkowska — ma serve trasparenza verso i consumatori e non deve essere precluso l’accesso alle offerte di altri mercati senza una giustificazione valida. Non sembra il caso di Disneyland Paris.
La Commissione ha verificato la politica dei prezzi applicata da altri parchi divertimenti in Europa e ha constatato che non fanno differenze in base al Paese di residenza.
Per la Commissione Ue la «discriminazione geografica» può avvenire in tanti modi: in certi casi quando i consumatori sono automaticamente reindirizzati sul sito del loro Paese, spesso con prezzi e offerte meno allettanti, oppure attraverso il rifiuto di consegnare la merce in alcuni Stati sempre senza una ragione motivata, o introducendo restrizioni attraverso le informazioni ricavate dall’indirizzo IP o dalla carta di credito.
Disneyland Paris non è il solo caso finito sotto osservazione. La Commissione sta valutando anche alcune lamentele arrivate contro Venezia per quanto riguarda l’accesso ai musei, al Wi-Fi e ai bagni pubblici (la città lagunare ha previsto una WC card per l’utilizzo a pagamento dei servizi igienici pubblici a Venezia e nelle isole ed è rilasciata ai residenti). Ma proteste sono arrivate anche contro Amazon, contro gli operatori austriaci di skilift e gli albergatori spagnoli: Bruxelles le sta soppesando.
Una settimana fa è entrata in campo anche l’Antitrust Ue a difesa dei consumatori: ha aperto un’indagine su Sky Uk e su sei grandi studi cinematografici americani (Disney, NBCUniversal, Paramount Pictures, Sony, Twentieth Century Fox e Warner Bros). Alla base dell’inchiesta gli accordi fra Sky Uk e gli studi che impediscono ai clienti di Regno Unito e Irlanda di accedere ai contenuti del network britannico quando si trovano all’estero.
Per la commissaria Margrethe Vestager «ci potrebbe essere una violazione delle norme Ue sulla concorrenza» perché «i consumatori europei vogliono vedere i canali di pay-tv di loro scelta indipendentemente da dove vivano o viaggino all’interno dell’Ue». Sul fronte dell’e-commerce la Commissione Ue ha annunciato che entro la prima metà del 2016 verrà presentata una proposta legislativa per abolire le restrizioni, quando non sono giustificate, legate alla residenza del consumatore. Certo, i tempi di Bruxelles non sono mai molto rapidi.
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