FLASH! - LA DISCESA IN CAMPO DEL PARTITO DI VANNACCI E' UNA PESSIMA NOTIZIA NON SOLO PER SALVINI,…
1 - BOSSETTI INCONTRA LA MOGLIE DOPO LA CONDANNA
Giuliana Ubbiali per “Libero quotidiano”
Ergastolo, fine pena mai. Massimo Bossetti l' ha realizzato subito. Poi, nella notte trascorsa insonne dopo la condanna per l' omicidio di Yara Gambirasio, ha macchinato un pensiero che lo terrorizza: non poter più vedere i figli, il suo ragazzo che a settembre compirà 15 anni, e le sue bambine, di 10 e 11 anni. L' ha pensato quando la presidente della Corte d' assise, Antonella Bertoja, alle 20.35 di venerdì ha pronunciato la frase: «Decadenza della patria potestà».
E l' ha temuto ancora di più ieri mattina presto, quando la moglie Marita Comi e il fratello Fabio Bossetti sono andati a trovarlo in carcere. I ragazzi non c' erano, anche se il sabato è il giorno fisso per incontrare papà. Un colpo al cuore. Così, non appena vede il suo avvocato, Claudio Salvagni, gli chiede che cosa succederà.
«Temeva di non poter più vedere i figli, invece gli ho chiarito che prima di tutto si tratta di una pena accessoria a una condanna che non è definitiva e che, comunque sia, non significa perdere il diritto di incontrarli. La moglie non li ha portati perché non sapeva in che stato d' animo lo avrebbe trovato». Sono rimasti insieme per un' ora abbondante. Non potevano che parlare della batosta della condanna. «È un uomo distrutto - lo descrive Salvagni -. Quando sono arrivato mi ha ripetuto: "Non è giusto, sono innocente, perché mi hanno condannato? Non è possibile"».
L' aveva detto anche alla Corte nel suo implorante appello prima che i giudici si ritirassero per 10 ore per decidere tra l' autoritratto del padre affettuoso e dell' uomo incapace di qualsiasi violenza, e quello dell' assassino bugiardo e senza scrupoli tracciato dal pm. La visita di Marita e di Fabio, il fratello che all' inizio dubitava di lui, è stata fondamentale. In aula l' ha detto: «Mia moglie, i miei figli, i miei familiari mi mancano tantissimo. Sono la mia unica ragione di vita».
LUCA TELESE MATRIX CASO YARA BOSSETTI
Senza, crollerebbe. «Ma è un problema che non si pone», assicura Salvagni. Tradotto: Marita resta al suo fianco. Gli ha dato un bacio prima che la Corte si ritirasse. Ha pianto e l' ha abbracciato dopo la sentenza. Ora gli avvocati pensano a preparare l' appello. Anzi, guardano già al grado successivo: «Credo che la condanna non possa reggere in Cassazione». Gliel' hanno giurato: «Non lo abbandoniamo, è la nostra iniezione di fiducia». Intanto Bossetti ha accusato il colpo: «Ci credeva, ma gliel' avevo detto: resisti, perché al 95% sarà una condanna».
letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti
2 - INCASTRATO SOLO PERCHÉ È UN POVERO CRISTO INDIFESO
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Processo inutile, pro forma, una perdita di tempo, uno spreco di energie e di denaro: la sentenza di Massimo Bossetti era già nell' aria alla prima udienza. La puzza di ergastolo non è mai venuta meno nell' aula della Corte d' Assise di Bergamo. Il rito si è svolto perché era obbligatorio che si svolgesse per rispetto delle norme, ma si sapeva in partenza che si sarebbe concluso con la morte civile dell' imputato.
Nessuno meglio del muratore di Mapello poteva interpretare il ruolo dell' assassino della povera Yara, tredicenne senza macchia, come tutte le tredicenni di questo sporco mondo che ha bisogno di consolarsi condannando un colpevole, non importa se contro di lui non c' è una prova. Serve un colpevole per placare le ire e le ansie dell' opinione pubblica e si sceglie il più idoneo al sacrificio.
il furgone di bossetti analizzato dai ris
Bossetti aveva ed ha tutti i crismi per essere indicato quale omicida. L' hanno identificato, preso, sbattuto in carcere e cotto a fuoco lento. Oggi è un ergastolano, privato non solo della libertà, ma anche della patria potestà sui propri tre figli. Tre figli ammazzati dalla giustizia ingiusta. Figli di un assassino e di una donna leggera, diffamata in tribunale e fuori, nipoti di una poco di buono e di un cornuto.
Me li immagino i tre ragazzini Bossetti in giro per il paesello orobico, guardati di sottecchi dal popolo come gli eredi del mostro, portatori dello stesso dna di colui che ha soppresso la tredicenne. Pensate alla loro vita attuale e futura. Pensate al peso che si porteranno addosso durante la loro intera esistenza.
il furgone davanti la palestra di yara che non era di bossetti
Ma questi sono particolari che non urtano la sensibilità della gente, anzi: alimentano i pettegolezzi nel piccolo borgo. L' importante è sputtanare. Se poi il criminale sia egli stesso una vittima, chissenefrega. Le toghe hanno comunque ragione per legge. Guai a dubitare della loro onestà intellettuale e professionale. Bossetti Massimo è stato inchiodato dal dna prelevato dalle mutandine della ragazzina trucidata.
C'è poco da discutere. Davanti alla scienza ci si inchina religiosamente, chi dubita è un eretico, un ignorante. Se gli esami di laboratorio, indipendentemente da chi li abbia eseguiti, dicono che quelle goccioline di sangue sono di Bossetti, si accetta il responso quale verità indiscutibile, quale dogma.
furgone davanti la palestra di yara che non era di bossetti
Non si tiene conto del fatto che se la scienza è esatta per definizione, chi la maneggia, invece, pure per definizione, può sbagliare così come sbagliano spesso tutti gli esseri umani. Mi vengono in mente quei medici che recentemente hanno operato due persone, cui hanno estratto un rene a testa perché affette da tumore. Peccato che i sanitari in questione, anziché togliere i reni malati, abbiano tolto quelli sani.
Anche costoro a modo loro erano e sono scienziati. Se si accetta il principio che errare umanum est, perché non sospettare che anche i cervelloni che hanno valutato il dna attribuito a Bossetti abbiano preso lucciole per lanterne? Nossignori, il pm e i giudici della Corte d' assise sono sicuri che i periti siano infallibili. Perché non ripetere le analisi per avere maggiori certezze?
il furgone di massimo bossetti
Uffa, quante balle. L'omicida è Bossetti punto e amen. Parola di magistrato. Il quale si basa sulle carte. Le gira e le rigira, le compulsa e le studia, sono il vangelo, non mentono. Se gli fai notare che le carte sono carta, e che la carta può essere straccia, ti considera un idiota. I camici bianchi sono tutti autorevoli? Non mi pare. Per blindare un uomo in cella da qui alla sua morte è sufficiente il dna quand'anche fosse un bidone? Lorsignori affermano oltretutto che su Bossetti gravano almeno quattro indizi, macigni.
Eccoli. Uno. L' aggancio delle celle telefoniche sulla palestra frequentata da Yara. Due.
furgone iveco di massimo bossetti
Le sfere di metallo - simili a quelle che si trovano spesso nei cantieri edili - recuperate nelle scarpe della ragazzina morta. Tre. La mancanza di alibi. Quattro. Le fibre tessili sui vestiti di Yara compatibili con quelle del furgone del carpentiere. E li chiamano indizi?
Sono fragili congetture. Perché le celle telefoniche era ovvio fossero le stesse che coprivano la zona della palestra, dato che Bossetti per rincasare da lì doveva transitare, non possedendo un elicottero, ma un semplice camioncino costretto a percorrere una determinata strada.
furgone iveco brembate fuori dalla palestra di yara gambirasio
Perché le sfere di metallo in questione sono reperibili in qualsiasi cantiere e non solo in quello dove lavorava Bossetti; rimane, poi, da spiegare come tali sfere siano finite nelle scarpe di Yara. Che nesso c'è tra le calzature e il delitto? Perché le fibre tessili di ogni sedile di automezzo sono simili ed è pacifico che siano compatibili con quelle rintracciate sugli abiti dell'adolescente. Insomma, siamo in presenza di dettagli insignificanti. Il più debole dei quali riguarda la mancanza di alibi.
Vi sembra tanto strano che il muratore non ricordi cosa abbia fatto la sera della scomparsa della ragazzina? Scusate. Io non ricordo il cibo che ho mangiato ieri sera e si pretende che Bossetti rammenti le sue mosse compiute in un tardo pomeriggio novembrino di alcuni anni orsono?
Contestare all'imputato questa lacuna - che tale non è - suscita stupore e incredulità. Nessuno è in grado di ricostruire ciò che ha combinato mesi, anni fa. Ciò premesso, restiamo basiti di fronte all'inconsistenza dell' impianto accusatorio che ha stroncato l' operaio, su cui è stata scritta ogni nefandezza persino riferita alla sua vita privata, ai rapporti con la moglie, ai gusti sessuali, all' amore per gli animali, alle curiosità telematiche. Ossia roba ininfluente ai fini processuali.
Si sono scatenate contro questo poveraccio orde di giornalisti colpevolisti e ansiosi di fare strame della sua moralità nella speranza di creare intorno a lui - riuscendoci benissimo - un clima di odio. La verità non la conosco. Ma la sensazione è che se Bossetti, invece di essere un proletario sprovveduto, incolto e intontito, fosse stato un borghese arricchito da buoni studi oggi sarebbe libero.
Nessuno avrebbe osato additarlo quale omicida.
Un operaio sfigato è facile trasformarlo in bersaglio immobile e colpirlo, trascinarlo nel fango e lì abbandonarlo beandosi del clamore mediatico suscitato dalla sua condanna.
Come cittadino mi sento a disagio per aver assistito a simile massacro.
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