bangladesh

IL BANGLADESH E’ IL SECONDO PAESE AL MONDO PER TASSO DI CRESCITA ECONOMICA (7%), IL SECONDO ESPORTATORE DI ABBIGLIAMENTO (SETTORE CHE COSTITUISCE L' 80% DELL' EXPORT TOTALE) DOPO IL GIGANTE CINA. UN BRULICANTE PAESE-RISAIA CHE CON LA DELOCALIZZAZIONE HA RISCOPERTO LA TRADIZIONE TESSILE A BASSO COSTO

Michele Farina per il “Corriere della Sera”

 

miraj al lavoro in una conceria in bangladeshmiraj al lavoro in una conceria in bangladesh

Dietro quei nove nomi, quelle nove vite, volendo guardare oltre il dolore s' intravvede il mondo di oggi e l' Italia di domani: nomadi di provincia in viaggio d' affari, commesse, passioni e tessuti. Dietro l' inglese delle business card (managing director, country manager, buyer) si nascondevano intraprendenti di ogni età e regione, trentenni incinte e cinquantenni single, uomini e donne, friulani e siciliani, chi girava da un anno e chi in Oriente aveva messo radici, dipendenti che si erano messi in proprio, imprenditori che giravano come commessi viaggiatori.

 

una fabbrica legale del bangladeshuna fabbrica legale del bangladesh

Dentro quel bar di Dacca era rappresentato un terminale importante e un po' oscuro dell' Italia che amiamo pubblicizzare, eccellenze e grandi firme. C' era l' Italia testa dura e trolley pronto di chi deve o desidera esplorare nuovi mercati e orizzonti low-cost: cacciatori di fornitori, fanti della globalizzazione.

 

In Bangladesh avevano trovato il loro porto, la loro nicchia globale: una terra vasta come mezza Italia con il doppio degli abitanti, fatta di promesse e contraddizioni. Il secondo Paese al mondo per tasso di crescita economica (7%), il secondo esportatore di abbigliamento (settore che costituisce l' 80% dell' export totale) dopo il gigante Cina. Un brulicante Paese-risaia (all' Expo ha fatto squadra nel rice cluster ) che nell' epoca della delocalizzazione spinta ha riscoperto la tradizione tessile del periodo pre-coloniale, quando le sue mussoline erano ricercate in tutto l' Oriente.

una fabbrica abusiva vicino a dhakauna fabbrica abusiva vicino a dhaka

 

L' ex Bengala Orientale è diventato oggi un Paese-telaio, inondando il mondo di jeans e magliette a prezzi stracciati (che poi finiscono per moltiplicarsi in vetrina): settemila fabbriche, 4 milioni di addetti, buona qualità e basso costo del lavoro, il più basso dell' Asia (dopo la Birmania). Così basso da suscitare polemiche e campagne internazionali, soprattutto dopo la tragedia del 23 aprile 2013.

 

Quel giorno oltre 1.200 lavoratori morirono nel crollo del Rana Plaza, un edificio mal costruito dove una miriade di imprese locali producevano capi di abbigliamento per conto di grandi marchi americani ed europei. Da allora il salario minimo è stato aumentato (sulla carta) del 77%. E i marchi europei (compresi quelli italiani) si sono impegnati più di quelli americani a migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza. Si sono registrati progressi.

una bambina in una fabbrica di jeansuna bambina in una fabbrica di jeans

 

Tragedie come il Rana Plaza non si sono più verificate. Il mercato ha ripreso a crescere.

Anche se le conclusioni di un approfondito studio pubblicato dalla Columbia University di New York alla fine del 2015 indicano che «spesso lavorare nelle fabbriche tessili del Bangladesh continua a essere altamente rischioso».

 

Su questo fronte, manager e buyers stranieri in Bangladesh camminano sul filo, testa dura e trolley pronto. Sporcarsi le mani sulla «prima linea» della globalizzazione, cercare di combinare ogni giorno e in loco profitto e diritto, etica e mercato, dev' essere cosa assai più difficile e coinvolgente che impegnarsi da lontano, magari nel quartier generale di qualche multinazionale, a forza di comunicati stampa e post su Facebook.

 

un bambino e la sua macchina da cucireun bambino e la sua macchina da cucire

Tra Italia e Bangladesh i legami (non solo) economici non sono mai stati così fitti. Da noi vivono almeno 128 mila immigrati (la seconda comunità più popolosa d' Europa).

Le importazioni del made in Bangladesh hanno toccato nell' ultimo anno i 2,5 miliardi di euro (più 2%). Mentre la nostra industria di macchinari tessili (300 aziende, 12 mila addetti) ha trovato in Dacca un mercato fiorente (il settimo al mondo). Dopo la strage di venerdì notte gli industriali a Dacca temono la fuga degli stranieri e delle loro commesse. Andrà così? È sempre una questione di sicurezza. Tra i tavolini di un bar, o tra le macchine da cucire delle fabbriche. E quei nove nomadi italiani non sono più qui a consigliarci, a costruire il presente.

shanta   una bambina di 11 anni che lavora gia da un annoshanta una bambina di 11 anni che lavora gia da un annoragazzi bengalesi al lavororagazzi bengalesi al lavoropantanoli prodotti in una fabbrica abusiva del bangladeshpantanoli prodotti in una fabbrica abusiva del bangladeshragazzi al lavororagazzi al lavoro