DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1. La minaccia di Obama: Distruggeremo l’Is, la Nato si unisca a noi”
Federico Rampini per “La Repubblica”
«Lo Stato Islamico è un cancro, siamo in una lotta contro la barbarie, non ci lasceremo intimidire dalle decapitazioni di cittadini americani». Barack Obama ha iniziato ieri il suo viaggio in Europa che oggi lo porterà in Galles per il vertice Nato, dominato dall’invasione russa in Ucraina, ma è costretto a reagire anzitutto all’altra crisi, Siria e Iraq.
Washington ha confermato l’autenticità del video sulla decapitazione del giornalista Steven Sotloff ad opera dei jihadisti in Siria, la seconda feroce esecuzione dopo quella di Foley. «L’America non dimenticherà — promette Obama — i crimini orribili contro questi due giovani. La nostra giustizia ha il braccio lungo». Il presidente deve difendersi dalle accuse di «non avere una strategia contro l’Is», una frase infelice che continua a essergli rinfacciata dalla destra e perfino da alcuni democratici.
Precisa il senso di quelle parole: non ha ancora deciso se, quando e come colpirà l’Is con bombardamenti estesi anche alla Siria, un’opzione per la quale attende che Pentagono e Cia abbiano raccolto l’ intelligence necessaria: «Se partono in missione i nostri piloti devono avere obiettivi chiari, una missione definita, l’appoggio del Congresso e del popolo americano, e il supporto dei nostri alleati».
Gli Usa, dice Obama, «si mettono alla guida di un’alleanza regionale e internazionale, per respingere e poi distruggere l’Is». Spiega che la strategia non può essere fatta solo di attacchi aerei, ma anche di un governo iracheno che riunisca le varie comunità etnicoreligiose, sunniti inclusi, più la costruzione di una coalizione che includa Nato e Paesi arabi. Per i partner Nato i compiti vanno dalla partecipazione ai raid fino alla fornitura di armi ai curdi. Ammonisce che «non è questione di sei mesi, ci vorrà tempo per ricacciare indietro i jihadisti dell’Is».
Parlando in Estonia, Obama rassicura i Paesi Baltici che si sentono i prossimi bersagli delle mire espansioniste di Putin. «Difenderemo tutti gli alleati della Nato senza fare distinzioni tra grandi e piccoli, tra membri più antichi e più recenti». L’America farà la sua parte per dare un segnale di coesione ed efficacia militare dell’Alleanza atlantica, mandando aerei, navi e anche “scarponi sul terreno”, cioè nuove truppe terrestri «a rotazione in Estonia, Lituania e Lettonia».
2. “Jihadisti e Ucraina, doppia sfida”
Federico Rampini per “La Repubblica”
STRETTO fra Vladimir Putin e i jihadisti dell’Is. Tra l’invasione russa dell’Ucraina che «ripropone la logica inaccettabile delle sfere d’influenza », e l’orrore provocato in patria dalla seconda decapitazione di un giornalista americano. Barack Obama affronta in questo viaggio europeo due crisi geostrategiche, gravi e simultanee. La “barbarie” jihadista è una minaccia diretta alla sicurezza dell’Occidente: anche contro l’Is Obama vede un ruolo della Nato. E la Russia «nostalgica dell’impero zarista», nelle sue parole, punta a scardinare 25
anni di stabilità europea.
Obama deve vedersela anche con due altre insidie. Da una parte c’è l’amnesia cronica dei suoi connazionali. Il dibattito politico americano ha già cancellato ogni memoria dei disastrosi errori di George W. Bush. Chi crocefigge Obama per la frase infelice in cui ammetteva di non avere ancora deciso una strategia contro l’Is (in realtà si riferiva ai soli raid aerei sul territorio siriano), ha in mente una sola strategia: quella della guerra guerreggiata, un’ennesima invasione Usa in Medio Oriente, come se le due Guerre del Golfo precedenti (1991, 2003) avessero avuto esiti risolutivi. Più che una strategia, gli avversari interni che riscoprono il pensiero neocon hanno sete di semplificazioni, scorciatoie, slogan a effetto da talkshow. E naturalmente un revival di commesse al Pentagono, alla Lockheed Martin e altri colossi dell’industria militare, che ultimamente avevano subito tagli di fondi.
«Per chi ha per strumento solo un grosso martello, tutte le crisi appaiono come dei chiodi», recita la migliore descrizione della cultura neocon. La crisi calda nell’Est europeo non è meno intrattabile. Obama aveva appena fatto in tempo a scendere dall’Air Force One all’aeroporto di Tallinn, e già si consumava un’altra beffa di Putin sull’Ucraina, il cessate il fuoco annunciato e poi “condizionato” a sette diktat di Mosca. Nessuno si fa illusioni sul senso del viaggio di Obama nei Paesi Baltici e poi nel Galles per il summit Nato. Il presidente Usa è qui per tracciare una “linea rossa” a Ovest dell’Ucraina; cioè una difesa degli “altri”, che dà per scontato di non poter affatto garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina stessa.
Salvare il salvabile, realisticamente, vuol dire segnalare a Putin che almeno gli Stati membri della Nato potranno contare su un vero patto di soccorso militare. L’Ucraina nella Nato non c’è, Putin con la sua aggressione si sta garantendo che Kiev non entrerà mai nell’Alleanza atlantica. Dunque dopo la Crimea anche la regione orientale dell’Ucraina è vittima del “fatto compiuto”: la violenza paga, l’Occidente non ha di che opporsi. Obama lo ha ammesso con un candore che gli viene rimproverato: «Non ci sarà una guerra tra l’America e la Russia sull’Ucraina».
Questo presidente è convinto che non serva a nulla fare la voce grossa se non si hanno i mezzi credibili per dare un seguito ai moniti. Soprattutto quando di fronte c’è un leader come Putin, pronto a “vedere” il bluff dell’avversario.
CARRIARMATI DI FILORUSSI IN UCRAINA
Il vertice del Galles da oggi riscopre la funzione essenziale della Nato, per tracciare quella “linea rossa” che protegga almeno la Polonia e i Baltici, prima che finiscano anch’essi nella trappola di qualche “sollevazione spontanea di minoranze russe” sul loro territorio. Ma anche qui Obama ha un terreno tutto in salita. La strategia delle sanzioni economiche finora è stata un fallimento totale. I castighi commerciali fanno più paura agli europei che a Mosca. Putin come ogni autocrate può ignorare i disagi economici inflitti
alla sua popolazione. Inoltre cerca sponde commerciali altrove, dalla Cina alla Mongolia, per compensare la riduzione del business con l’Europa.
Il Vecchio continente è ben lungi dal trarne le conseguenze sul piano militare. Stremata dall’austerity, con opinioni pubbliche pacifiste a oltranza, l’Europa occidentale offre poco a Obama in termini di truppe, armamenti avanzati, e fondi da stanziare per il rafforzamento delle difese sul fronte orientale. Il 70% del budget militare della Nato in Europa, lo sta pagando il contribuente americano. Il quale ha una percezione diversa sulla gravità delle “crisi simultanee”.
CARRI ARMATI UCRAINI A KRAMATORSK
Ne ha dato una prova chiara la prima conferenza stampa di Obama al suo arrivo in Estonia. La stampa americana gli ha fatto più domande su l’Is che sull’Ucraina. A torto o a ragione — anche a prescindere dall’orrore per le decapitazioni in video — l’America post-11 settembre considera il fondamentalismo islamico una minaccia diretta alla sua sicurezza nazionale, più ancora del revanscismo russo. Che dovrebbe essere prima di tutto un problema per tedeschi, francesi, inglesi e italiani, oltre che per gli ex satelliti dell’Urss.
CARRIARMATI NELLA CITTA DI SLAVIANSK IN UCRAINA IN MANO AI FILORUSSI
Vista dagli Usa questa è un’Europa tentata dall’“ appeasement ” come ai tempi di Chamberlain-Hitler (1939). Putin riuscirà a «riscrivere gli ultimi 25 anni di storia», vendicando l’Unione sovietica? Obama ammonisce da Tallinn: «Guai a dare per scontato che la nostra libertà sia acquisita per sempre». A Washington il suo antico avversario repubblicano John Mc-Cain, gli ricorda però che «in queste sfide, dalla seconda guerra mondiale in poi, l’America deve prendere la guida, esercitare una leadership, trascinare gli altri; questo ruolo non può essere delegato».
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