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Enrico Franceschini per “il Venerdì - la Repubblica”
Il funerale glielo hanno celebrato già da un pezzo. Ma gli ultimi chiodi nella bara, per restare nella metafora funebre, all' insegna di un macabro senso dell' umorismo che era una delle regole del mestiere in questione, li hanno piantati solo nei giorni scorsi.
Il caro estinto, per dirla con il grande Evelyn Waugh, è la culla del giornalismo moderno: altrimenti nota come Fleet street, stradina londinese, non lontana dalle Corti di Giustizia, dalla City e dal Tamigi, dove dall' Ottocento sino a non molto tempo fa avevano sede le redazioni di tutti i giornali inglesi, le agenzie di stampa, gli uffici di corrispondenza di testate nazionali e straniere.
L' esodo dei reporter cominciò dopo il 1980, avviato dalla decisione di Rupert Murdoch, il magnate dei media, da qualcuno soprannominato «lo Squalo», di trasferire la News International, casa editrice del Times e del Sun, a Wapping, in periferia, per i costi più bassi degli affitti e la maggiore facilità di distribuire la carta stampata nel resto del Paese.
Comunque la si pensi su Murdoch, il tycoon stabilì un trend: da allora tutti i quotidiani, in Inghilterra e altrove, hanno aderito alla tendenza di spostare la redazione lontano dal centro. Da un punto di vista economico aveva senso. Ma la leggendaria «via dell' inchiostro», come era soprannominata Fleet street, riunendo redattori, cronisti, inviati speciali e fotografi in uno spazio urbano ristretto, facendoli ruotare attorno agli stessi pub, coffes shop e ristoranti, aveva contribuito a creare una cultura del giornalismo e un' immagine dei giornalisti che, da Londra, si è trasmessa gradualmente in tutto il mondo. Senza quella strada, i giornali odierni - anche nella loro attuale veste digitale - forse non sarebbero la stessa cosa.
Non a caso, quando Fleet street non è stata più Fleet street, e al posto dei reporter sono rimasti soltanto avvocati, banchieri e catene tutte uguali di negozi di sandwich, è stato celebrato un vero e proprio funerale in memoria di questo luogo epico: nella chiesa di St. Bride, anch' essa a Fleet street, a lungo considerata la «casa spirituale» dei giornalisti, sebbene questi ultimi non abbiano santi in paradiso. E fra gli editori, i direttori, i veterani della professione convenuti nella chiesetta, c' era anche «lo Squalo», colui che delle esequie è stato in un certo senso il responsabile.
Le esequie, tuttavia, erano state celebrate senza il morto - o perlomeno senza che da Fleet street fossero scomparsi proprio tutti i giornalisti. L' agenzia Reuters ha traslocato soltanto nel 2005. Altre redazioni, più piccole, hanno resistito anche più a lungo. Ora se n' è andata l' ultima. Era una stanza con due soli cronisti: l' ufficio di corrispondenza londinese del Sunday Post di Dundee, domenicale scozzese. Gavin Sherriff, 54 anni, il chief reporter, ha lavorato a Fleet street per più di metà della sua vita: tre decenni.
Darryl Smith, 43 anni, specialista di fogliettoni, come si chiamano in gergo i pezzi di colore, ci è arrivato poco più che ventenne. Il loro giornale aveva bisogno, come tutti i giornali, di ridurre i costi. E ha pensato che, con le odierne tecnologie, Londra si poteva coprire anche dalla Scozia, mandando occasionalmente un cronista a farci un salto, quando è proprio necessario. «È un giorno più triste per il nostro mestiere che per me» commenta Smith, facendo per così dire le valige. Lui, in qualche modo, continuerà a fare il giornalista. Ma Londra perderà l' ultimo tassello di una mitica avventura.
«Del resto la strada è cambiata al punto che risulterebbe irriconoscibile ai vecchi del mestiere» osserva il suo collega. Il palazzo art deco che una volta ospitava il Daily Telegraph è ora occupato dalla Goldman Sachs, una delle grandi banche della cittadella finanziaria. Lì a fianco un grande ufficio legale ha preso possesso dell' ex-redazione del Daily Express.
Il più famoso pub della zona, Ye Old Chesire Cheese, dove si serve da bere dal 1538, frequentato da Arthur Conan Doyle, l' inventore di Sherlock Holmes, da P.G. Woodhouse, il grande scrittore umorista creatore del maggiordomo Jeeves, e da Charles Dickens, rimane al suo posto al numero 145 della via: vi si accede da un vicoletto in cui stentano a passare insieme due persone, all' ingresso c' è sempre l' elenco di tutti i re che hanno regnato in Gran Bretagna (dall' apertura del pub in poi), «ma ormai ci vanno solamente i turisti a scattare fotografie, come se fosse un museo» lamenta Smith.
L' adiacente Punch si è messo a servire cibo: riforma che avrebbe lasciato di stucco i reporter, abituati ad andarci esclusivamente per bere, in genere insieme a sbirri e malandrini, principali fonti d' informazione per chi scriveva cronaca nera. Venti anni or sono, quando Smith mise piede a Fleet street, la pinta (o due, o qualche volta tre) di birra al Punch era una tradizione quotidiana a cui rapidamente si adeguò: recentemente ci faceva una capatina solo il venerdì, per salutare l' inizio del week-end.
Già da tempo, insomma, Fleet street non era più la «via dell' inchiostro» nei cui pub si scambiavano aneddoti come quello sul grande inviato del Times che torna dal fronte trafelato con lo scoop di chi ha vinto una certa battaglia e lo anticipa in preda all' eccitazione all' usciere all' ingresso della propria redazione - ignaro che si tratta di un concorrente, in agguato per rubargli la notizia e darla al suo giornale.
Di cotante imprese rimangono le targhe blu in ricordo di nomi ed eventi, come quella a Crane Court che commemora il Daily Courant, primo foglio quotidiano stampato in Inghilterra, nel 1702, una singola pagina di inserzioni pubblicitarie su un lato e notizie sull' altro: il 14 aprile 1785 riportò la storia di un uomo assassinato dal barbiere, ritenuta l' ispirazione di Sweeney Todd, melodrammatico personaggio dell' era vittoriana che tagliava la gola ai clienti dopo avergli fatto la barba. Adesso l' ultimo cronista ha spento la luce e se n' è andato. L' epopea di Fleet street è davvero finita.
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