DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alessandro Fulloni per il “Corriere della sera”
«Vieni qua, ora ti spiego». E giù schiaffi e pugni. È successo qualche giorno fa nello spogliatoio di una squadra di minibasket - la «Basket 2000 Ponte Tresa», a Luino nel Varesotto - composta da «aquilotti», il nome dato alla categoria dei baby-giocatori tra i nove e dieci anni. Il padre di uno di loro, sulla quarantina, ha picchiato l' allenatore, il venticinquenne Roberto Guali, che si è ritrovato con il naso fratturato e un occhio pesto.
Una scena di violenza davanti a cinque o sei esterrefatti bambini tra cui lo stesso figlio dell' aggressore. L' antefatto era avvenuto alcuni minuti prima, durante la partita tra il «Basket 2000» e il Venegono.
«Qualche genitore della mia squadra continuava a inveire contro l' arbitro - racconta il giovane coach - e all' ennesima reazione esagerata gli ho gridato di piantarla». Uno di loro, però, deve aver «preso male il mio richiamo e a fine partita è entrato nello spogliatoio, un luogo dove papà e mamme, senza permesso, non dovrebbero mai farsi vedere». Davanti a mezza squadra l' uomo «mi ha chiesto sgarbatamente di avvicinarmi e poi, d' improvviso e senza ragione, mi ha colpito».
Appena uscito dal pronto soccorso (referto di 20 giorni), Roberto è andato dai carabinieri per firmare la denuncia. «Gullo» - tutti lo chiamano così «da quando avevo 13 anni, è una variazione del mio cognome» - nei giorni successivi ha ricevuto la telefonata di scuse da parte dell' aggressore: «Sinceramente pentito, ha detto di aver perso la testa. Parole che ho apprezzato, spero che abbia capito la gravità di quello che ha fatto» racconta adesso l'allenatore «assunto in banca da pochi mesi, dopo la laurea in Economia». Ma nonostante il chiarimento, di ritirare la denuncia il coach non ne vuole sapere.
«Il rispetto dei ruoli è fondamentale nella vita. Quel genitore non ha fatto male a me, ha fatto male soprattutto a suo figlio». Roberto descrive con entusiasmo il basket «un mondo nel quale vivo da quando ho 5 anni. Andavo sempre a vedere le partite di mio padre in serie D, mi sono appassionato, e appena è stato possibile ho cominciato a giocare delle giovanili». La voglia di insegnare è giunta «grazie a mio fratello di 8 anni più giovane. Quando lo portavo in palestra ho scoperto che mi divertiva stare con i bambini».
La conclusione è stata inevitabile: «Ho fatto il corso per diventare istruttore e ora sono alla quinta stagione da allenatore. Ogni giorno quando finisco di lavorare mi fiondo in palestra. Vedere i ragazzini correre e divertirsi è una medicina per la vita».
Ma i genitori? Guali (che ha ricevuto la «totale solidarietà» dei suoi dirigenti e della FederBasket provinciale) scuote la testa: «A volte sembra che la tribuna debba essere una zona franca, dove per un' ora non esistono più regole...». Un istante dopo l' aggressione, steso sul pavimento, choccato e dolorante, «mi è saettato il pensiero di andarmene, mollare il basket». Ma nel rialzarmi «ho visto le facce dei bambini, i loro occhi increduli, e ho capito che non potevo abbandonarli. Sarebbe equivalso a tradire loro e me stesso». Tre giorni dopo «Gullo» era in palestra con i suoi «aquilotti». «Li ho tranquillizzati e mi hanno abbracciato. Quello che mi ha stretto più forte è stato il figlio di chi mi ha aggredito».
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