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DAGOREPORT - SERVIZI E SERVIZIETTI: IL CASO ALMASRI E' UN “ATTACCO POLITICO” ALLA TRUMPIANA MELONI?…
Vittorio Zucconi per “la Repubblica”
“Icona”, come la definisce l’assassino, di quel pezzo d’America che il mondo civile odia perché uccide per odio razziale, la pistola calibro 9 che fu usata per ammazzare in Florida il teenager afroamericano Trayvon Martin, che era disarmato, è stata in vendita all’asta su GunBroker.com, sito specializzato nella vendita di armi.
La pistola di George Zimmerman
Il proprietario e omicida assolto, George Zimmerman voleva destinare il ricavato — richiesta 5mila dollari — per sé, per finanziare la campagna contro Hillary Clinton colpevole di (parziale) proibizionismo anti-armi, e per «distruggere la carriera e l’esistenza» della procuratrice dello Stato della Florida che osò incriminarlo. Ma forse non potrà farlo: l’annuncio ha generato un mare di polemiche e ieri sera la pistola è stata rimossa, non si capisce se definitivamente, dal sito di aste.
George Zimmerman Trayvon Martin
Che l’arma vada in vendita o meno, la vicenda dimostra che nell’universo parallelo dei vigilantes che si fanno giustizia da soli e che brulicano dietro la facciata della “Legge e Ordine” prendendo la legge nelle loro mani, Zimmerman è un eroe della “legittima difesa”, assurto a uno status di mito dopo l’uccisione di Trayvon Martin, il 26 febbraio del 2012. Fu nella sera di quel giorno che la vita di Zimmerman, organizzatore delle squadre di volontari armati che sorvegliavano un quartiere di Sanford, in Florida, intercettò quella di Trayvon, un ragazzo nero di 17 anni.
Al vigilante, figlio di un militare di professione di origine tedesca e di una immigrata peruviana, lui stesso Marine mancato, occasionale piazzista di assicurazioni porta a porta e venditore di auto usate, ma senza una professione o un mestiere stabile, il comportamento del teenager parve sospetto.
Cercò di fermarlo, Trayvon gli sfuggì, lo rincorse, lottò con lui, lo gettò a terra: il ragazzo lo colpì la testa, almeno secondo la versione di Zimmerman. Allora lui estrasse la piccola, ma micidiale Kel-Tec Pf9 e lo fulminò: proprio quell’arma ora è in vendita come “souvenir”.
L’assassinio di Trayvon divenne parte indelebile della storia americana: il silenzio della polizia e della magistratura che per mesi non vollero aprire inchieste sulla sua morte accese la collera sempre sopita e mai spenta dell’America nera, poi alimentata dalla serie di omicidi da parte di agenti di polizia a Ferguson, a New York, a Cleveland, a Baltimora.
trayvon proteste a Times Square
Nacque il movimento “Black Lives Matter”, le vite dei Neri contano. Spinse il Presidente Obama a dire «se avessi avuto un figlio maschio avrebbe avuto la faccia di Trayvon Martin» e finalmente, tardivamente, spinse la procuratrice del distretto di Sanford a incriminare Zimmerman per “omicidio non premeditato”. Dopo 16 ore di discussione, le sei donne che formavano la giuria popolare emersero dalla sala dei giurati pronunciando un verdetto di “Non Colpevole”.
La pistola di George Zimmerman
Quelle sei donne, quelle cittadine qualsiasi scelte per sorteggio come tutte le giurie popolari americane, avevano accettato la versione di George e applicato la legge della Florida che autorizza l’uso della violenza e delle armi per «difendere il proprio spazio», nel sospetto di un’aggressione. Ma soprattutto, come gridarono migliaia di persone nei cortei che avrebbero percorso le città americane e animato Black Lives Matter, avevano accettato implicitamente, l’identificazione fra nero e violenza. George Zimmerman, che oggi ha 33 anni, era la vittima, non il carnefice.
trayvon proteste a Times Square
Poco importa, ora, quattro anni dopo, che il valoroso vigilante, il pattugliatore anti-violenza nera, si sia rivelato lui stesso un violento. La compagna lo accusò di averla picchiata e chiamò la polizia che non procedette all’arresto, nè la Procura all’incriminazione, perché la donna, nonostante i segni delle botte, rifiutò di denunciarlo.
Finì in uno scontro a rivoltellate a un incrocio con un automobilista, dove fu ferito dalle schegge del parabrezza frantumato dai colpi. Un armaiolo della Florida lo pagò per utilizzare il suo nome su una bandiera della Confederazione Sudista esposta davanti al negozio con l’annuncio che quella era una “Muslim Free Zone”, una zona libera da musulmani. Un’eco degli slogan di Donald Trump che promette di sbarrare l’ingresso negli Stati Uniti ai fedeli dell’Islam.
«Ripugnante», «ignobile», «oltre i confini del peggior cattivo gusto» sono i commenti che hanno accompagnato la notizia della messa all’incanto dell’arma che uccise un ragazzo inerme. La Fondazione Trayvon, creata dai genitori della vittima per battersi contro l’epidemia di armi e contro il “Racial Profiling”, la presunzione di colpevolezza che accompagna l’appartenenza a minoranze razziali, ha rifiutato di commentare, mentre Zimmerman lanciava proclami alle tv locali vantando, con il classico latino da cioccolatini, la sua filosofia di vita: «Si vis pacem, para bellum», se vuoi la pace, prepara la guerra.
Trayvon Martin
Trayvon Martin
Trayvon Martin
George Zimmerman
Asta on line o meno, la sua agile e leggera calibro 9, si venderà sicuramente e per cifre notevoli, essendo, appunto, “un’icona” del peggio dell’America. Se non riuscisse a venderla, se lo sdegno dell’America migliore bloccasse l’asta lugubre e morbosa in modo definitivo, «pazienza», ha detto George. «La lascerò ai miei futuri nipotini». Tenero cuore di nonno.
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