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Filippo Fiorini per “la Stampa”
attentato del 1994 alla comunita ebraica argentina su cui indagava nisman
A 12 giorni dalla morte di Alberto Nisman, la famiglia ha avuto ieri il permesso di celebrare il funerale, ma gli argentini non hanno ancora chiaro cosa sia successo nell’appartamento al 13° piano della torre Le Parc, dove il procuratore aveva detto di voler stare chiuso per tutto il week-end a studiare la denuncia che il lunedì avrebbe presentato in Parlamento.
Di certo, il testo in cui accusava la presidente Cristina Kirchner di aver coperto i mandanti (secondo l’accusa c’è la mano dell’Iran) dell’attentato al centro ebraico Amia del 1994 (85 vittime), per avere migliori condizioni commerciali con Teheran, è in qualche modo collegato a quello che per gli investigatori potrebbe essere stato un omicidio, un suicidio o un suicidio «indotto». Il problema è stabilire in che modo lo sia.
I servizi deviati
Dopo aver contestato la solidità delle prove che l’accusano di complottare con gli iraniani, la Kirchner, parlando in tv, ha abbracciato la tesi per cui il pm sarebbe rimasto vittima di una frangia deviata dei servizi segreti e ha puntato il dito contro l’uomo a cui è intestata l’arma che ha ucciso Nisman.
Si tratta di Diego Lagomarsino, esperto informatico di 38 anni, diventato anche il primo indagato del caso con l’accusa di aver ceduto una pistola a Nisman, sebbene questi avesse il porto d’armi scaduto. Secondo la sua versione, il capo ha insistito per avere l’arma nonostante lui si opponesse. Diceva di sentirsi minacciato, di voler proteggere le figlie: «È l’unico favore che ti ho mai chiesto e tu non me lo vuoi fare».
Dalla presidenza e dalla stampa filo-governativa, però, insinuano che Lagomarsino sia in realtà un agente segreto, facendo notare che riceveva uno stipendio enorme per il lavoro che svolgeva, affermando che non andava mai in ufficio e presentando anche due testimoni secondo cui avrebbe offerto servizi di spionaggio.
Scorta sotto inchiesta
Lagomarsino, che viene difeso da uno dei più prestigiosi penalisti argentini e da gran parte delle testate critiche nei confronti del governo, ribatte spostando i sospetti sugli agenti della scorta. Le guardie del corpo che erano in servizio il giorno in cui Nisman è morto, sono state tutte sospese per ordine del capo della polizia e resteranno senza pistola e distintivo fino a nuovo ordine.
Dalle deposizioni che hanno rilasciato davanti al giudice e ai superiori, emergono infatti delle negligenze plateali, anche se, come per Lagomarsino, non c’è per loro alcuna prova di malafede anche se, ad esempio, hanno impiegato più di 10 ore per forzare la porta di casa del pm, perdendo tempo prezioso quando la vita di Nisman poteva forse essere ancora salvata e giustificandosi ricordando le sfuriate che gli faceva il procuratore quando lo disturbavano al cellulare o al campanello.
Il magistrato che ha preso in mano il caso dall’alba di lunedì 19, ammette di non escludere ancora nessuna possibilità, ma ribadisce che gli esami realizzati finora parlano solamente di un suicidio. La distanza di sparo, la traiettoria d’ingresso del proiettile, il fatto che il corpo bloccasse dall’interno la porta di un bagno senza finestre e altri elementi, hanno portato il medico legale ad affermare che Nisman si è sparato da solo e lo ha fatto con la pistola Bersa che gli inquirenti hanno trovato sotto il suo corpo.
I tempi che non tornano
D’altra parte, si presentano continuamente circostanze sospette e, per ogni elemento che viene chiarito, sorgono per lo meno due nuovi dubbi a sostituirlo. L’ultimo solo in ordine di tempo, riguarda il registro della portineria del lussuoso complesso in cui viveva Nisman.
Qui, in una tabella che secondo gli investigatori è «piena di errori e incongruenze» si dice che Diego Lagomarsino è uscito da casa del procuratore alle 00:54 di lunedì, ovvero 12 ore dopo la data del decesso. Lui e altri testimoni sostengono invece che sia uscito alle 20:45 del sabato, cioè la notte prima dello sparo che ha lasciato attonita la società argentina. Ora, si spulciano le 160 telecamere che filmano costantemente la zona, ma il caso è tutt’altro che chiuso e il suo esito influenzerà di certo le presidenziali del prossimo ottobre.
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