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IL PICCOLO - COPERTINA PER LA VERITA SUL CASO REGENI
Carlo Bonini e Giuliano Foschini per “la Repubblica”
Non era una spia. Né un pericoloso sovversivo. Ma «un portatore di pace». È dall’ammissione di questa verità, chiara come il sole dal 3 febbraio di quest’anno a tutti tranne che al Regime, che riparte l’Egitto di Al Sisi per raccontare la fine di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato a morte dieci mesi fa al Cairo.
Per dare solennità a questo passaggio, insieme politico e, forse, investigativo, ieri è sbarcata a Roma la delegazione di inquirenti del Cairo, guidata dal procuratore generale della Repubblica d’Egitto Nabil Sadek, per incontrare, come concordato a fine ottobre, il procuratore Giuseppe Pignatone, il sostituto Sergio Colaiocco, i carabinieri del Ros e i polziotti dello Sco.
Cosa produrrà questo terzo vertice di Roma lo si capirà davvero soltanto oggi. La giornata di ieri è servita a Sadek per incontrare i genitori di Giulio, Claudio e Paola Regeni, accompagnati dall’avvocato Alessandra Ballerini. «Sono tragici i fatti su cui stiamo investigando e il mio impegno è quello di non chiudere le indagini finché non saranno arrestati i responsabili. Giulio era portatore di pace » ha detto Sadek.
VIGNETTA GIANNELLI - AL SISI COLLABORA SUL CASO REGENI
Regeni non era dunque un agente dei servizi (britannici o italiani) né un provocatore. Era soltanto un ricercatore universitario, in Egitto per completare la sua tesi di dottorato. Per il Regime, un passaggio dall’evidente costo politico. Non fosse altro perché arrivato dopo mesi di miserabili illazioni, fragorose bugie, cruente messe in scena.
E tuttavia ancora poco per poter dire che si è vicini all’individuazione compiuta e attendibile dei responsabili di quella atrocità. Solo oggi, infatti, la procura di Roma potrà valutare se, oltre alle buone parole per la famiglia, la delegazione egiziana abbia portato con sé fatti, documenti, nomi in grado di ricostruire cosa accadde al Cairo tra il 25 gennaio e il 3 febbraio. E cosa e chi mosse la mano degli assassini di Giulio.
luigi manconi con i genitori di giulio regeni
L’incontro tra i due team investigativi, il quinto fino a ora (lo hanno preceduto due riunioni a Roma e due al Cairo) è di fatto cominciato già ieri in tarda serata con un primo scambio di informazioni e continuerà nella mattinata di oggi quando si scenderà nel dettaglio, ammesso che ve ne sia uno.
In questa storia le capriole degli egiziani consigliano prudenza. Quella che ieri sera trasmetteva il silenzio della famiglia Regeni (che ha comunque apprezzato le parole di Sadek) e a cui invitavano, non per maniera, qualificate fonti inquirenti. Del resto, gli spazi di manovra del Cairo si sono fatti ormai molto stretti. I punti fermi sono di un’evidenza cristallina. Primo: gli esiti dell’autopsia sul corpo di Regeni documentano come Giulio sia stato torturato a lungo e da più mani esperte, fino alla “marchiatura” in diversi punti del corpo. Secondo: ha mentito chi ha accreditato la tesi insostenibile dell’incidente stradale.
E di quella menzogna gli egiziani dovranno dare una spiegazione, non fosse altro per la fonte da cui proveniva: Khaled Shalaby, il capo della Polizia di Giza inizialmente incaricato delle indagini. Terzo: Giulio non è stato vittima della violenza di qualche bandito, come voleva far credere il ritrovamento dei suoi documenti nella casa di un pregiudicato, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia insieme con altri tre suoi amici e un passante.
Quarto: Regeni non è stato catturato durante una retata la sera del 25 gennaio, ma fermato da qualcuno che lo seguiva da tempo. Quinto: per ammissione (l’unica nel merito sin qui) degli stessi egiziani, la Polizia del Cairo indagava su Regeni almeno a far data dal 6 gennaio, quando l’allora leader del sindacato degli ambulanti, tale Mohamed Abdallah, un avido balordo con un passato da giornalista di gossip e un presente da informatore dei servizi segreti, lo aveva venduto come spia semplicemente per vendicarsi di un guadagno svanito (la possibilità di ottenere qualche migliaio di sterline per sé da una borsa di studio inglese destinata a una ricerca sul sindacato).
Oggi si capirà se e quali passi avanti ha fatto l’indagine egiziana. Soprattutto quale prezzo il Regime è disposto a pagare per la verità promessa ieri dal procuratore Sadek alla famiglia Regeni. È evidente, infatti, che una mezza verità o, peggio ancora, una “verità” indimostrabile non chiuderebbe la vicenda e potrebbe, stavolta sì, far saltare definitivamente il tavolo.
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