DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Fabrizio Roncone per il “Corriere della sera”
«Prima, all' improvviso, ho pensato: beh, ora vado in cucina e mi preparo un bel caffè».
Sì, ho capito.
«No, guardi, mi creda: è difficile da capire. Mi sono alzata dalla branda, avevo di fronte l' uscita della tenda, i volontari, gli sfollati che passavano. Ma i miei occhi guardavano il corridoio di casa. La cucina è in fondo, a destra».
Mi spiace. Dev' essere tremendo.
«Io e mio marito non abbiamo più niente. Questa felpa me l' ha data, l' altra notte, un carabiniere... Perché no, dico: mica avrà pensato che sono un maresciallo, eh?».
Mentre ci stringiamo la mano arriva una botta forte.
Molto forte.
Dopo un po', certe scosse le senti direttamente dentro la pancia.
La signora Elena ha la voce gelida: «Almeno la tenda non crolla».
Ma sono crollati i nervi. E sulla paura, sul conseguente istinto di sopravvivenza, adesso prevale la disperazione.
Tutti gli sfollati iniziano a realizzare che nulla sarà più come prima. La sensazione è precisa visitando la tendopoli che la Protezione civile del Lazio ha allestito alla fine del paese, sul campo da calcio.
Trecento persone e sedici bambini in tende da otto: ogni letto ha in dotazione un materasso, lenzuola e una coperta pesante. Tutto nuovo. Ma nient' altro.
Cammini e, tra lacrime e sospiri, ascolti i discorsi. «A quest' ora, di solito, mi mettevo davanti alla tivù» (Luigi Passa, 78 anni). «Dina è rimasta sotto le macerie... Come chi è Dina? La mia cagnetta!» (Annalisa B., 34 anni).
«A me, sotto le macerie, sono rimasti due figli» (Sara Fasoli, 58 anni). «Non per dire: ma avevo il più bel guardaroba di Amatrice» (Simona, 19 anni). «Sul terrazzo di casa m' era cresciuta una bouganville spettacolare» (Luigi Dionisi, 63 anni). «Non so cosa darei per riavere la mia spazzola di legno» (Olga G. 52 anni).
Molti di loro non volevano entrare nelle tende. Entrare significa ammettere: la mia casa non c' è più. È qui che devo stare.
L' accampamento è ordinato, efficiente, pulito. I bagni biologici sono laggiù. La tenda comando-segreteria è stata alzata sulla pista di pattinaggio.
La sala mensa sul campo di calcetto. Stanno ancora servendo il primo pasto caldo: farfalle al sugo, una salsiccia, due fette di pane. La frutta è stata appena scaricata da un camion della Coldiretti.
Mangiano in silenzio. La testa sui piatti di carta. Solo il rumore delle posate. Mangiano e pensano. Nonna Virginia - 87 anni, rughe bellissime - pensa che lei, un sugo così leggero, non l' ha mai preparato in vita sua.
«Sono la regina della amatriciana».
Le viene buona?
«Sa, qui ad Amatrice, ognuno ha il proprio trucchetto...».
Il suo?
«Non posso dirglielo...».
Sarebbe un regalo.
«Mhmm… Io, insieme al guanciale e al peperoncino, faccio soffriggere anche mezza cipolla...».
Arriva il parroco, don Savino D' Amelio: vuole organizzare una messa. «Il vino c' è: me lo danno i forestali. Al posto delle ostie non so... magari userò molliche di pane. L' importante è pregare. E, forse anche più importante di pregare, è stare insieme. Dobbiamo continuare a sentirci una comunità».
Alla comunità sopravvissuta di Amatrice serve però tutto: non solo il coraggio e la speranza. Lì di fronte, nel palazzetto dello sport, è iniziata la distribuzione: pannolini per neonati, omogeneizzati, spazzolini da denti, dentifricio, carta igienica, giocattoli per bambini, acqua, latte, biscotti e vestiti.
C' è necessità assoluta di abiti pesanti. Maglioni e giacche a vento, anche taglie piccole. Il sole forte di questa mattina durerà ancora qualche settimana: poi, al tramonto, le temperature andranno sotto lo zero. Nevicherà senza preavviso. Succede sempre così, su queste montagne.
«La nostra tendopoli, esattamente come quella che sta allestendo la Croce rossa, rappresenta una soluzione temporanea», dice il comandante del campo, Sandro Faraglia.
«Qui la neve può raggiungere i due metri di altezza».
Entra un finanziere: ha polvere ovunque, sulla bocca, dentro le narici, sulla divisa. In paese si continua a scavare; prima era sembrato di sentire una voce e invece, purtroppo, era solo una persiana che cigolava.
Un gruppo di volontari s' è messo in circolo, qualcuno ha tirato fuori una chitarra, cantano «Cara» di Lucio Dalla. Fa così. «Conosco un posto nel mio cuore/ dove tira sempre il vento/ per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento/ non c' è niente da capire, basta sedersi ed ascoltare...».
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