DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Laura Della Pasqua per "la Verità"
Lo sballo diffuso, il rifiuto delle regole, le forme di violenza rilanciate sui social con cinico compiacimento, la contestazione dei genitori, i nonni usati come bancomat ma che possono essere sacrificati con il Covid in nome dell'annullamento delle restrizioni.
Cosa sta succedendo ai nostri giovani? La pandemia ha portato a galla, come la schiuma del mare, il caos in cui vive un'intera generazione, sospesa in una dimensione in cui tutto è consentito e giustificato. In barba a qualsiasi morale.
Sul tema della sessualità e dell'identità di genere la confusione dei giovani raggiunge l'apice. Il gender fluid è la nuova moda. E tra i giovani si stanno moltiplicando gli interventi per cambiare sesso, spesso sull'onda del condizionamento sociale.
C'è chi arriva a sostenere che già a 2 o 3 anni si possano manifestare problemi di genere, il che giustificherebbe la somministrazione di farmaci sin dalla più tenera età. A ciò contribuisce il progressivo allentarsi dei vincoli anagrafici e sanitari. Fino al 2015, per modificare i connotati sulla carta di identità bisognava operarsi: ora questo obbligo è caduto.
Inoltre, l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto la disforia di genere, ossia il disagio legato al non riconoscersi nel proprio corpo, non come un disturbo psichico ma una condizione sessuale. E ai minori può essere somministrato un farmaco, la triptorelina, per bloccare la pubertà. Spesso è il primo passo per un percorso che porta i ragazzi dritti verso la somministrazione di ormoni e poi all'intervento chirurgico con effetti irreversibili.
Dal monitoraggio della Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (Sicpre), nell'anno prima della pandemia circa 120 persone si sono sottoposte a interventi di cambio di sesso nei cinque ospedali pubblici italiani specializzati. Il 60% dei pazienti chiede di diventare donna, il restante 40% uomo.
L'ospedale che fa più interventi è quello di Pisa. Quando ha iniziato, nel 2011 eseguiva 6 operazioni all'anno: ora circa 60. Al San Camillo di Roma, nell'Area minori del Saifip (Servizio di adeguamento tra identità fisica e identità psichica), una delle realtà pioniere del settore che da più di 20 anni accoglie bambini e adolescenti gender variant, nei primi tre mesi di quest'anno il numero di minori arrivati con un'ipotesi di disforia di genere è aumentato del 150% rispetto allo stesso periodo del 2020. Al Policlinico universitario di Palermo le richieste di interventi chirurgici sono cresciute del 30%.
Come mai questo incremento esponenziale? Il movimento Lgbt e parte della comunità scientifica sostiene che il fenomeno è sempre esistito, ma ora le persone escono allo scoperto. Altri psicologi e chirurghi sottolineano fenomeni di emulazione e di contagio sociale.
Questo il pensiero di Adriana Cordova, professore di chirurgia plastica dell'università di Palermo ed ex presidente di Sicpre: «Numerose persone che arrivano da noi per il cambio del sesso hanno effettuato percorsi psicologici inadeguati. Le terapie psicologiche dovrebbero durare 2 anni, ma non tutti completano il ciclo o perché non se lo possono permettere o perché nelle strutture pubbliche hanno di fronte psicologi sempre diversi che non garantiscono la continuità. Sono venute da me persone che avevano avuto l'autorizzazione del tribunale per il cambio di sesso dopo appena un paio di incontri con lo psicologo. Ho l'impressione che si parli del cambio di sesso con leggerezza e che non si sottolinei la drasticità del gesto chirurgico. Per alcuni pazienti la transizione era necessaria e ha portato a una migliore qualità della vita, ma per altrettanti casi il bisturi non ha risolto i problemi psicologici».
harry styles e alessandro michele di gucci versione gender fluid
Il blocco della pubertà è un'altra pratica che si diffonde con facilità. Uno studio realizzato dall'associazione Scienza & vita e dal centro studi Rosario Livatino sottolinea i dubbi su questo trattamento: che cosa succede se, dopo due o tre anni di somministrazione della triptorelina (il minino per ottenere qualche risultato) un adolescente cambia idea? Il suo sviluppo ormonale riprenderà regolarmente? La fertilità sarà mantenuta? E come riallineare lo sviluppo cognitivo, che nessuno può arrestare, con quello puberale che nel frattempo è stato sospeso chimicamente?
C'è anche chi ipotizza che il blocco ormonale possa finire per compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono a strutturare l'identità sessuale. E con quali conseguenze? Lo studio sottolinea «la sostanziale carenza di letteratura scientifica che attesti evidenze di efficacia e di sicurezza di questo tipo di trattamento».
Caso emblematico è quello della giovanissima Keira Bell, sottoposta a trattamento con bloccanti ormonali dopo una frettolosa diagnosi di disforia emessa dalla Tavistock clinic di Londra, l'unica clinica per l'identità di genere per bambini trans del Regno Unito.
Dopo questo scandalo, denunciato dalla ragazza, sono venuti allo scoperto numerosi pentiti (cosiddetti detransitioner) perché sottoposti a trattamenti irreversibili anziché essere aiutati psicologicamente a risolvere la confusione mentale che li affliggeva.
Come hanno documentato medici e pentiti, i danni seguiti ai trattamenti ormonali non sono solo di tipo estetico (voci femminili mutate per sempre in maschili, peli su volti femminili o crescita di seni su corpi maschili) ma anche alla salute (fragilità ossea e sviluppo di altre malattie croniche).
In Gran Bretagna nell' arco di 10 anni c'è stato un aumento del 2.500% dei trattamenti sulle bambine. Da 97 casi del 2009-2010 si è passati a 2.519 del 2017-2018. Fra loro 45 bambini di 6 anni o meno. Ha fatto scalpore l'intervento sul Guardian dell'ex psichiatra del Tavistock, David Bell, che ha accusato la facilità con cui è somministrato il farmaco bloccante della pubertà.
In Italia la triptorelina è consentita con semplice perizia medica. La campagna sull'identità di genere comincia a entrare nelle scuole. Ed è legittimo chiedersi se non ci sia il rischio che il tema sia trattato in modo semplicistico.
Il Consiglio comunale di Torino ha approvato una mozione che impegna gli educatori dei nidi e delle materne a una formazione continua sul genere. In alcune scuole si sperimenta l'inserimento della «carriera alias» che consente ai transgender di cambiare il nome sui registri elettronici. Cominciato in alcuni licei, si sta facendo largo anche nelle elementari.
Ma i bambini sono pronti ad affrontare temi così delicati? L'identità di genere è al centro del ddl Zan. Ci sono aspetti scottanti come il «self Id», o libera autocertificazione di genere, consentita con un semplice atto all'anagrafe senza perizie. Il percorso verso l'annullamento della differenza sessuale è avviato.
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