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1.“I luoghi del cuore di Marella Agnelli, icona dello splendore italiano”
Mirella Serri per “La Stampa”
Il vestito di seta lascia leggermente scoperte le lunghe gambe, lo sfondo è un po’ sfocato e la diciannovenne che siede sull’altalena appare disorientata. Marella, non ancora signora Agnelli, figlia del diplomatico di sangue blu Filippo Caracciolo di Castagneto e dell’americana Margaret Clarke, davanti a quello scatto del 1946 non prevedeva di diventare di lì a breve tempo una delle ragazze più corteggiate e ambite da reporter e fotografi.
Adesso un’altra più giovane Marella, Caracciolo Chia, che con la celebre zia condivide non solo il nome ma anche la passione per le case e per i giardini, in apertura della bella biografia di Marella Agnelli da lei redatta, «Ho coltivato il mio giardino», ha posto proprio questo ritratto fino a oggi inedito. Il volume della Caracciolo Chia, scrittrice e giornalista di «T - The New York Times Style Magazine», che alterna la sua voce narrante con quella della Marella più adulta, esce in contemporanea in Italia (Adelphi) e negli Stati Uniti (Rizzoli).
Il libro, nato da un suggerimento di John Elkann, il maggiore degli otto nipoti di donna Marella, segue le vicende degli «interiors», dei luoghi del cuore e della vita della Agnelli, delle ville e dei parchi da lei stessa ideati e disegnati, a cui sono affiancati suoi splendidi ritratti, molti dei quali ritrovati negli archivi da Marella junior e mai pubblicati (di Richard Avedon, di Cecil Beaton e altri).
La biografia ripercorre così l’esistenza di una delle figure femminili più rappresentative del secolo scorso: la fanciulla sull’altalena, dopo essere convolata a nozze nel 1953 con Giovanni Agnelli, protagonista degli scenari internazionali, nipote del fondatore del gruppo Fiat e futuro presidente, diventerà anche lei una speciale e ammirata esponente della famiglia.
Con la sua straordinaria classe sarà l’incarnazione di quello che Truman Capote aveva definito lo «splendore italiano», riferendosi al regale tenore di casa Agnelli. Ma l’interesse per la moda, per la fotografia, per l’arte ne faranno qualcosa di più: una testimonial d’eccezione, un’icona dell’Italia più raffinata e moderna negli anni di crescita e di espansione economica e culturale.
La formazione artistica di questa protagonista individuata, fin dalle prime pubbliche apparizioni, dalla stampa internazionale come l’immagine del più sofisticato Italian Style, inizia all’Académie Julian di Parigi. È il fotografo Erwin Blumenfeld che, dopo averla assunta come modella, ne intuisce le attitudini: «Posare mi annoiava», racconta la Agnelli che nella ricomposizione dei ricordi ha usufruito della collaborazione di suo fratello, lo storico e giornalista Nicola Caracciolo. «E un giorno, il maestro mi disse: “Passa dall’altra parte dell’obiettivo”. Nessuno possedeva come lui il coraggio di sperimentare».
La sperimentazione di insoliti territori espressivi diventerà la molla vitale di donna Marella, che si manifesterà anche dopo le prestigiose nozze. Accetta di diventare corrispondente per la Condé Nast ma poi abbandona dopo la nascita di Edoardo e Margherita. «La vita era diventata un’interminabile vacanza - ricorda -. Un giorno la contessa Volpi mi disse: “Mi giunge voce che non sai tenere una casa”. E aggiunse: “I mariti si acchiappano sotto le coperte, ma ci vuole una casa per tenerli”».
Donna Marella apprende le nozioni di economia domestica però «lo splendore» di cui parla Capote, le vacanze dorate, i weekend con i Kennedy non l’appagano interamente. Sarà la passione di sempre per lo stile e l’eleganza («La moda era una forma privilegiata di espressione», afferma), a indirizzarla verso una nuova avventura nelle arti applicate, nel disegno di tessuti, nella sistemazione delle case a cui si dedica con energia e fermezza che ne mascherano anche la fragilità e un segreto. Marella «grande», come la chiamano in famiglia, sa che «di una grande fortuna esiste anche il lato oscuro». E che «la ricchezza può essere un fattore d’isolamento».
Il titolo del libro riprende una citazione del «Candide» di Voltaire: l’orto che donna Marella ha coltivato è anche quello dell’educazione estetica e sentimentale che ha accompagnato il viaggio della gran signora assai nota nel mondo. Ancora oggi la sua dedizione al «giardino» in senso voltairiano non si è arrestata: ora è il momento dei pergolati di Aïn Kassimou a Marrakech, tra le sue residenze preferite.
2. E dopo cena rompi le bottiglie”
Marella Agnelli – tratto dal libro “Ho coltivato il mio giardino” – Adelphi
I PRIMI MESI dopo il matrimonio passavo le ore sul divano a leggere romanzi. Ora che non avevo più un vero lavoro, la vita mi sembrava un’interminabile vacanza. Gianni vedeva la cosa con preoccupazione: capiva che non avevo alcuna attitudine naturale per la vita domestica. Un giorno ricevetti una telefonata. Era la contessa Volpi, una “dragonessa” veneziana con delle magnifiche proprietà e la fama di essere un’ottima padrona di casa. Gianni le aveva chiesto di accorrere in mio soccorso. «Devi venire a trovarmi» ruggì nella cornetta del telefono. «Mi giunge voce che non sai tenere una casa». Fu allora che le uscì di bocca una frase incredibile, che non dimenticherò mai: «Ricordati», mi disse, «sarà anche vero che i mariti si acchiappano sotto le coperte, ma poi ci vuole una casa intera per tenerli».
La contessa Volpi mi insegnò un mucchio di cose, alcune utili, altre meno: quante paia di lenzuola servivano per ogni letto, dove farle ricamare con le proprie iniziali, quanti servizi completi di porcellana bisognava avere, e via dicendo. Mi diede anche dei consigli sulla gestione del personale di servizio: quante persone assumere, come organizzare i turni di lavoro, dove trovare le uniformi. Mi spiegò l’importanza di un buon placement a tavola e di un menù ben studiato. E tentò di insegnarmi la parsimonia, una qualità in cui lei eccelleva.
Dopo ogni pranzo, spiegò, era necessario rompere personalmente tutti i vuoti di bottiglia.
«E perché mai ?» chiesi stupita. «È l’unico modo per assicurarsi che i camerieri non cadono nella tentazione di usarli in futuro per intascarsi delle bottiglie piene, fingendo che a tavola sia stato consumato più vino di quello effettivamente servito».
L’estate del 1954 la passammo a New York, dove nacque Edoardo. Era un bambino bellissimo che ci ha riempiti di gioia.
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