DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Gabriella Saba per “Il Venerdì – La Repubblica”
Ci sono tutti gli elementi delle drammatiche traversate del confine tra Messico e Stati Uniti in cui si cimentano ogni anno centinaia di migliaia di centroamericani: coyotes e cholos (rispettivamente «guide» e rapinatori locali), le fughe nella notte e le grida della polizia, gli assalti e le rapine, le violenze.
Talmente verosimile che i turisti, benché sappiano di partecipare a una messinscena, reagiscono come fosse vera: scappano e piangono, urlano, si tengono per mano e tremano come foglie. Soltanto alla fine, dopo ore di sorprese da cardiopalma, esplodono in un canto liberatorio: intonano a voce spiegata l’inno nazionale guardando la montagna, all’improvviso illuminata, e agitano la bandiera del Messico in un sussulto di solidarietà.
Organizzata nel paesino di El Alberto, seicento abitanti di etnia hnahnu nello Stato di Hidalgo, centro del Messico, l’iniziativa si chiama Caminata Nocturna ed è il pezzo forte di Eco-Alberto: il parco eco-turistico che valorizza le bellezze della zona e offre, oltre agli sport estremi, quella parvenza di avventura per chi vuol capire cosa si provi a essere una espalda mojada, dispregiativo per immigrati illegali.
Dalle otto di sera alle due, i partecipanti vivono dunque le disgrazie di chi cerca di spostare la propria vita oltreconfine, alla rincorsa del sogno americano: impresa che riesce raramente e in cui perdono la vita più di trecento persone all’anno mentre altre subiscono violenza o finiscono nelle tratte.
I venti turisti che compongono ciascun gruppo vengono prima condotti in furgone fino a un luogo in mezzo al buio, poi sono «invitati» a scendere e continuare a piedi. Durante il percorso verranno fermati dalla migra (la polizia statunitense), costretti a scappare per chilometri in mezzo al fango, rapinati dai cholos e alla fine arriveranno dall’altra parte, ma a quel punto saranno allo stremo.
Scopo dell’iniziativa non è però il gusto del brivido ma quello di sensibilizzare i turisti (in gran parte messicani) e allontanarli da una pratica che gli abitanti di El Alberto conoscono perfettamente: per decenni hanno attraversato la frontiera e a molti è andata così bene che il paesino si è spopolato. Scappavano dalla povertà e dalla mancanza di lavoro.
Come molte comunità indigene, quella di El Alberto è emarginata e sofferente. Si stava riducendo a un simulacro quando ad alcuni è venuto in mente di allestire quella struttura che attira ogni anno migliaia di visitatori e dà lavoro a più di settanta persone: di giorno autisti e guide, la notte finti poliziotti e cholos: tutti perfetti nei rispettivi ruoli. Di peculiare c’è solo il messaggio che un tipo in passamontagna lancia all’inizio della caminata: «Quello che succederà stanotte succede a migliaia di nostri fratelli che attraversano le frontiere verso il suolo americano.
Questa notte attraverserete la frontiera verso la solidarietà, perché indipendentemente dalle comunità a cui apparteniamo siamo tutti messicani, è vero?». «È vero!» rispondono quelli a una voce, poi si lanciano nell’avventura.
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