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Cinzia Alfè per “Dissapore.com”
“Terrorista culinario”. Questo è solo uno tra i tanti, gradevoli riconoscimenti che si è guadagnato Jamie Oliver a causa delle sue singolari rivisitazioni di ricette della tradizione europea, che il nostro si premura di sezionare e ricomporre a suo piacimento, ficcandoci dentro qualsiasi sostanza edibile e non che gli passi per il cervello, arrivando così, inevitabilmente, a un risultato che definire caotico e a volte indegno è come minimo un complimento.
Gli attenti lettori di Dissapore ricorderanno come aveva massacrato la Carbonara. Questa volta però il bel Jamie ha raggiunto il massimo, in suo soccorso è dovuta intervenire nientemeno che l’ambasciata britannica a Madrid. A Madrid, sì. Perché il piatto che questa volta è finito tra le grinfie del cuoco britannico è stata nientemeno che Sua Maestà la Paella.
La paella, il piatto nazionale spagnolo più diffuso in tutto il mondo, la paella, compagna imprescindibile di cene tra amici e serate spensierate, la paella, a base di riso, verdure, carne e pesce che cambia in base alle regioni spagnole. La paella, che Oliver ha pensato bene di “personalizzare” proponendone una versione in cui è riuscito a infilare il chorizo, un salamino piccante che proprio in Spagna, e in tutta la penisola iberica, è molto diffuso e popolare. Non contento ha scritto su Twitter: “Non c’è nulla di meglio nella cucina spagnola. La mia versione prevede cosce di pollo e chorizo”, un salamino speziato”.
Apriti cielo.
I fieri spagnoli non hanno perdonato questa indebita incursione nel loro piatto nazionale al povero cuoco inglese, e subito hanno pensato di omaggiarlo con una serie di lusinghieri apprezzamenti tra cui “terrorista culinario” si è rivelato uno dei più gentili. Una vera rivolta popolare in nome della paella, tanto che proprio l’ambasciatore britannico a Madrid, Simon Manley, si è sentito in dovere di intervenire sul proprio profilo Twitter per difendere scherzosamente l’incauto compatriota, scrivendo di “essere stato convocato per spiegare sulle pagine del Comidista (la sezione culinaria del quotidiano «El País», n.d. r.) la posizione britannica”.
«Siamo degli innovatori», ha cercato di giustificarsi Manley. Ma anche Jamie Oliver ha reputato, di fronte a tale sollevamento popolare, di doversi giustificare, facendo sapere da un suo portavoce che “l’idea di aggiungere il chorizo gli è stata suggerita durante una visita in Spagna da una signora che gli ha sussurrato all’orecchio «mettici una punta di chorizo». Idea che, a livello teorico, non sarebbe nemmeno tra le più peregrine dell’esplosivo Jamie, non certo nuovo a simili sperimentazioni su piatti tradizionali.
Nella nostrana carbonara riuscì a ficcare in rigoroso ordine sparso: peperoni sott’olio, aglio, pomodoro, quattro salamelle cotte sulla bistecchiera poi appoggiate sopra il sugo all’ultimo istante, e un goccio di aceto balsamico. Insomma, si potrebbe ragionevolmente affermare che il nostro se le va a cercare con il lanternino, incurante delle giuste reazioni che i suoi continui stupri su piatti così radicati nella tradizione popolare riescono a generare. Ma un paio di cose, questa volta, ci sentiamo comunque di dirle, a difesa di Oliver, oltre al sostegno che si può ritrovare nelle parole, ad esempio, di Miriam Gonzalez Durantes, avvocato e moglie di Nick Clegg, l’ex vicepremier di Cameron, nonché autrice di ricette spagnole, che dice:
«Non sono oneste le critiche a Jamie: in fondo ci sono molte paella terribili in Spagna», mentre Sam Clark, ristoratrice di successo, propone una sua personale paella con chorizo e spinaci e afferma, a proposito degli inglesi e della loro cucina, che “Abbiamo smarrito durante la guerra la nostra cucina e da allora siamo aperti a tutti, gli spagnoli invece sono conservatori». Ma soprattutto, se andiamo a fondo e lasciamo da parte le suggestioni che hanno portato il tipico piatto spagnolo a essere sacro e intoccabile, cos’è in fondo la paella, se non un piatto di origine povera, popolare, un insieme di ingredienti in cui, insieme al riso figurano pezzi di animali di diverse specie, non solo gli usuali cozze e pollo ma anche tacchino e lumache, insieme a fagioli, spezie e ingredienti vari?
Quale sapore potrà mai guastare, quale inarrivabile gusto potrà mai alterare un pezzetto di chorizo, di suino cioè, in questo ammasso, in questo tripudio gioioso di vegetali e bestie varie? La verità è che ormai sparare su Jamie Oliver è come sparare sulla Croce Rossa, e ad ogni uscita “inusuale” tutti si sentono legittimati –il più delle volte a ragione– a giocare al tiro al piccione. Ma questa volta, inquinare una preparazione così ricca come la paella con un pezzetto di salame non ci è sembrato un intervento così deprecabile.
Non più, cioè, del burro nel pesto che tempo fa aveva proposto Oldani o l’aglio nella carbonara di Cracco. Per quanto caotici o “diversamente creativi”, infatti, questi personaggi rimangono comunque chef, o perlomeno dei cuochi di successo, ed è normale che vogliano, a torto o a ragione, inserire il loro personale tocco da maestro nelle loro preparazioni. Per il povero Oliver, inoltre, da oggi c’è un’autorevole giustificazione in più, da parte nientemeno che dell’ambasciatore britannico: “Siamo inglesi, siamo innovatori”. E per questa volta, Jamie, almeno per noi l’hai scampata. Ora, vallo a spiegare agli spagnoli.
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