L’AVVOCATO DELLA FAMIGLIA KERCHER: “LA CASSAZIONE DOVEVA MOTIVARE L’ASSOLUZIONE IN MODO PIÙ AMPIO, CI SONO STATI ERRORI” - SOLLECITO SCRIVE UN LIBRO PER RACCONTARE LA SUA STORIA: “QUANDO MI HANNO ASSOLTO PERFINO I POLIZIOTTI CHE MI AVEVANO PEDINATO SI FECERO VIVI, DICENDO CHE ERANO SEMPRE STATI DALLA MIA PARTE…”

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1 - LA FAMIGLIA DI MEREDITH “DOBBIAMO ANCORA CAPIRE”

Pierangelo Sapegno per “la Stampa”

 

raffaele sollecito in conferenza stamparaffaele sollecito in conferenza stampa

Se a marzo, quando era uscita la sentenza della Cassazione che assolveva Amanda e Raffaele, Arline Kercher, la mamma di Meredith, aveva confessato tutto il suo stupore, perché se quei due «erano stati condannati due volte, è un po’ strano che le cose possano cambiare ora», adesso dice che vuole leggere a fondo le motivazioni prima di esprimersi.

 

Arline parla con l’avvocato di parte civile, Francesco Maresca, che in questi 8 anni è sempre stato vicino alla famiglia della ragazza uccisa a colpi di coltello nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre del 2007 a Perugia: «Vogliamo capire come mai dopo 5 processi, un giudice così illuminato possa essere così certo di una sentenza d’assoluzione».

amanda knox con il fidanzatoamanda knox con il fidanzato

 

Maresca giura che non c’è nessun tono ironico: «Loro hanno sempre accettato tutte le decisioni delle varie Corti con la massima serenità. E’ un loro diritto capire una sentenza che li ha choccati. Tre giudizi, quello di primo grado, la prima Cassazione e l’appello di Firenze, pur nell’incertezza hanno ritenuto che si potesse parlare di colpevolezza degli imputati. Ora è stata fatta tabula rasa di tutto questo in modo un po’ troppo semplicistico».

 

L’avvocato Maresca non risparmia le sue critiche: «A me non sono piaciute queste motivazioni, posso dirlo? Non viene detto nulla di nuovo. Che le indagini non fossero state perfette, è 8 anni che ne parliamo, che ci fossero lacune, sono sempre 8 anni che ce lo diciamo. Queste lacune però erano state superate da alcune sentenze. La Cassazione doveva motivare in modo più ampio. La mera critica è troppo poco». L’avvocato Giulia Bongiorno ha parlato di sentenza storica? E’ vero, dice Maresca, lo è, ma solo perché il caso è storico: «Ma non lo è da un punto di vista giuridico e motivazionale.

raffaele sollecito giulia bongiornoraffaele sollecito giulia bongiorno

 

E’ stato fatto il minimo indispensabile per mettere la parola fine a questo processo che probabilmente ha stancato la giustizia italiana». Però, anche Maresca dice che ci sono stati errori - e una catena di errori - nell’inchiesta. In fondo, la Cassazione è come se dicesse: non è colpa nostra, ma questo è il diritto. «In sostanza è così», ammette alla fine. Ma allora come si fa a darle torto? «Dico che dovevano sforzarsi di più, e che doveva essere una corte d’Appello a mettere la parola fine».

 

2 - IN UN LIBRO LA VERSIONE DI SOLLECITO: «I POLIZIOTTI FELICI PER L’ASSOLUZIONE»

Estratto del libro di Raffaele Sollecito pubblicato da il “Corriere della Sera”

 

raffaele sollecito e la fidanzata gretaraffaele sollecito e la fidanzata greta

Al termine dell’arringa i giudici si riunirono finalmente in camera di consiglio. Fu in quel momento che mio padre annunciò: «Torniamo a Bisceglie». Il tono era di quelli che non ammettono repliche. Era più saggio aspettare la sentenza tra le mura della nostra casa che ci avrebbero protetto da tutti i curiosi.

 

E quindi eccolo ora correre verso casa perché preoccupato che la lettura del dispositivo avvenisse mentre eravamo ancora per strada. A casa, c’era la mia famiglia riunita al completo, ma anche i miei amici di sempre. Tutti mi rivolgevano sguardi carichi d’affetto. Tutti cercavano di darmi coraggio, di mostrarsi positivi.

 

raffaele sollecito in cassazioneraffaele sollecito in cassazione

Ma la verità è che eravamo distrutti, e terrorizzati. I più piccoli della mia famiglia — mio cugino Raffaele e Simona, la figlia ventunenne della moglie di mio padre — non riuscivano a mascherare la tensione, e neanche Greta, che continuava a piangere. Come poi scoprii, mia sorella le aveva detto che secondo lei questa storia sarebbe finita nel peggiore dei modi, e che lei doveva cominciare ad arrendersi all’idea. Dopotutto potevo capire il suo pessimismo: la vita di Vanessa era uscita distrutta da questa storia.

 

Aveva dovuto lasciare i carabinieri, e aveva perso anche ogni fiducia nel sistema di cui aveva fatto parte. Lei comunque rimase a Roma, insieme al prof. Milani al solito presente nei momenti che contano, ad aspettare che finisse la camera di consiglio. Sarebbe stata lei a darci la notizia, qualunque essa fosse.

 

raffaele sollecito  in cassazioneraffaele sollecito in cassazione

Quando l’avvocato Bongiorno — che, come poi mi raccontarono, era nervosissima e continuava ad andare avanti e indietro con la sigaretta in mano — mi telefonò per annunciarmi che stavano entrando per ascoltare la sentenza, tutta la finta sicurezza che i miei parenti avevano indossato per tranquillizzarmi evaporò all’istante. E si alzò il sipario sulla nostra angoscia: chi assorto sul divano, chi in un angolo a piangere — mentre io mi sentivo morire dentro.

 

Era tardissimo ormai, e i minuti sembravano non passare mai. Poi, d’improvviso, il cellulare di mio padre cominciò a squillare: era Vanessa. Nella stanza il silenzio si fece ancora più totale. Ecco la verità. Non c’era più spazio per le illusioni.

meredith kercher meredith kercher

 

Ma all’urlo di mia sorella: «Innocente!», tutte le persone che si erano strette attorno a me cominciarono a gridare dalla gioia, a battere le mani. Incredulo, mi lasciai sfuggire una risatina dalla bocca dello stomaco, poi anche io urlai, forte, sempre più forte, mentre papà, Mara e Greta piangevano dalla gioia e il mio amico Francesco mi afferrava e mi stringeva al punto da farmi soffocare.

rudy guede rudy guede

 

Nessuno di noi riusciva più a contenere la felicità. Non so per quanto tempo vagai da una parte all’altra della casa, ridendo e facendomi abbracciare da chiunque incontrassi sulla mia strada. E intanto il telefono non smetteva più di suonare, così come il citofono. C’era moltissima gente che voleva rivolgermi le sue felicitazioni, esprimermi il proprio affetto. Perfino i poliziotti che mi avevano pedinato si fecero vivi, dicendo che erano sempre stati dalla mia parte. Avevano capito che ero un bravo ragazzo, e adesso erano contenti di come erano andate a finire le cose.

 

amanda knox colin sutherland amanda knox colin sutherland

E le dimostrazioni di affetto proseguirono nei giorni successivi. Oltre a trovare la casella della posta ogni giorno piena di lettere, mi imbattevo di continuo per la strada con persone che mi fermavano, anche solo per stringermi la mano. C’era chi addirittura piangeva per la commozione. Ricevetti anche una telefonata da Amanda. Sapevo che aveva vissuto con angoscia l’attesa della sentenza, ma adesso era felice, almeno quanto me.

 

In qualche modo, ora, la nostra storia era davvero finita. Solo noi potevamo sapere quant’era pesante il fardello che ci eravamo portati addosso per tutti quegli anni. Ma ci rendevamo anche conto, com’era già avvenuto dopo la prima assoluzione, che, a parte quell’esperienza, non c’era più nulla che ci unisse. E ci salutammo. Con lo stesso «Buona fortuna» che ci eravamo augurati il giorno della scarcerazione.

amanda knox amanda knox