RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Estratto dell’articolo di Fabrizio Goria per “la Stampa”
«L'Europa si può permettere uno sforzo in più. Anche Italia e Germania hanno margine per aumentare la spesa per la difesa. Mosca no. La minaccia esterna della Russia impone un'azione coordinata, che vada oltre il concetto dei nazionalismi industriali». Daniel Gros raccoglie con pragmatismo il suggerimento del Consiglio europeo, Charles Michel, secondo cui l'Ue dovrebbe prepararsi alla cosiddetta «economia di guerra». L'economista tedesco della Bocconi e del Ceps vede più ostacoli politici che finanziari […]
Le parole di Michel sono un invito che si realizzerà?
«[…] c'è bisogno di un compromesso fra Stati per evitare che si difendano i "campioni nazionali" dell'industria della difesa e dell'aerospazio. Il tutto nella ragionevole speranza che, anche se alcune imprese nazionali perdono e altre guadagnano, al netto tutto il sistema ne tragga vantaggio».
Si parla di "economia di guerra". Che contraccolpo per l'Ue?
«Che l'Ue si debba preparare alla guerra mi sembra ovvio visto che un conflitto è già in corso. Non chiamerei però "economia di guerra" un aumento della spesa per la difesa verso e oltre il 2 % del Pil. Negli Anni ‘80, senza conflitti aperti, spendevamo molto di più per la difesa. Dal punto di vista economico ci sarebbe un impatto modesto. […]».
Sotto il profilo sociale cosa cambia?
RUSSIA E UCRAINA - GLI ARSENALI
«Non credo ci sarebbero conseguenze significative. Le implicazioni sarebbero quasi nulle.
Nel senso che si tratterebbe di alzare i deficit o le tasse, ma in quantità minima».
[…] Cosa serve oggi?
«Ciò che occorre è un cambiamento psicologico, prima che sociale. Ci siamo abituati alla pace e al fatto che non ci fosse alcuna minaccia dal punto di vista militare. Adesso però dobbiamo abituarci al pensiero che esiste questo pericolo. È questa la parte più importante. […]».
[…] Per l'Italia cosa cambierebbe in caso di più risorse destinate alla difesa?
«La differenza fra Italia e Germania non è tanto sul piano psicologico, bensì su quello economico-finanziario. Per Berlino aumentare le spese per difendere l'Ucraina e i confini europei è qualcosa di fattibile senza troppi problemi. […] Per Roma, come sappiamo, materialmente sarebbe possibile agire in modo analogo».
L'Italia che margini ha?
«Avrebbe la capacità di fare molto di più per sostenere l'Ucraina e la difesa europea. Ma l'equilibrio politico, e anche mentale, è tale che gli sforzi accessori per queste due voci sarebbero in deficit. Non è una situazione congeniale. Se guardiamo i Paesi che a oggi sostengono l'Ucraina e spingono per un incremento della spesa militare europea troviamo un elemento comune a tutti. Hanno conti in ordine e un basso deficit».
L'industria europea della difesa sconta sempre un divario con Stati Uniti e Cina?
«Ha una notevole forza a livello globale. […] Non vedo troppi problemi a livello di tecnologia. La vera sfida è essere più uniti a livello industriale contro la minaccia odierna».
Quali ostacoli?
«Ogni Paese vuole mantenere il controllo sulle "sue" industrie. Vale a dire, agire con ottiche protezionistiche per motivi strategici. Non c'è nemmeno la volontà di aumentare la specializzazione tecnologica a livello di singolo Stato. Se si condividessero le tecnologie su scala europea, ci sarebbe un vantaggio diffuso. Ma non si può decidere a tavolino perché c'è di mezzo anche la concorrenza fra i singoli gruppi industriali». […]
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