DAGOREPORT - SI SALVINI CHI PUO'! ASSEDIATO DAL PARTITO IN RIVOLTA, PRESO A SBERLE DA GIORGIA…
Estratto dell’articolo di Gian Luca Bauzano per il “Corriere della Sera”
Opera lirica o rugby? Dalla torre, oggi, cosa butta?
«Nessuno dei due. Entrambi sono parti della mia vita e della mia carriera. E sono simili: veri campi di battaglia, dove sei sempre nel mezzo e devi lottare per sopravvivere. E tra i due il rugby è quello meno rischioso. Rompersi il naso, come mi è capitato durante una partita, fa male. Eccome. Ma è un dolore fisico.
Una stecca o un fiasco in scena invece sono ancor più dolorosi. Un dolore morale. Non parliamo poi del rifiuto da parte di un teatro di farti cantare in un certo ruolo, solo perché il regista vuole la protagonista come una fotomodella. Meglio il naso rotto».
Dell’incidente in campo, la rottura del setto nasale, sul bel volto sorridente di Anna Pirozzi, nulla si nota. Napoletana, classe 1975, questo giunonico soprano oggi è ritenuta l’erede di Maria Callas. [...]
Quella di Pirozzi è stata una carriera pirotecnica dal debutto tardivo: a 36 anni a Torino nel Ballo in maschera di Verdi, dopo l’abbandono del rugby femminile da semi professionista. La sua determinazione nell’agire è sempre rimasta identica. L’ha aiutata a conquistare i teatri e sconfiggere on stage pregiudizi e body shaming. [...]
Da cantante lirica, qual è la meta dei suoi sogni?
«L’inaugurazione del Teatro alla Scala, un teatro dove ho già cantato. Ma oggi sarebbe diverso, dopo i successi di questi anni in teatri come il Covent Garden di Londra, il Metropolitan di New York o il Colón di Buenos Aires».
Ma come ci si trasforma da rugbista in eroina di Verdi o Donizetti?
«È più facile di quanto si possa pensare. Almeno per me. Vengo da una famiglia composita. Un padre che suonava la batteria e una madre che faceva la cantante: impazziva per Mina. Michele, mio fratello più piccolo (ha una sorella maggiore, ndr ), lo sportivone di casa e rugbista, mi ha convinto a entrare nella squadra di rugby femminile ad Aosta».
[...]
Aosta, le pulizie nelle Rsa, il rugby, la lirica che non le piaceva. Sembra un soggetto cinematografico...
«Tutto è legato a un concorso alle Poste. Mia madre aveva abbandonato la sua attività come cantante per sposarsi. Partecipò al concorso statale per avere lo stipendio fisso. Lo vinse: destinazione Aosta. Ci siamo trasferiti.
Avendo lasciato presto gli studi, ho fatto molti lavori. Preso un diploma come assistente domiciliare, ho iniziato a lavorare nelle case di riposo. In quel periodo mio fratello mi disse: “Perché non provi a giocare a rugby? La grinta l’hai. Sono diventata pilone”».
E il canto?
«Da bambina ascoltavo mia madre cantare Mina. La imitavo. Cantavo poi tutti i successi del Festival di Sanremo. Cresciuta, ho arrotondato le entrate cantando nei pianobar o ai matrimoni i successi di Céline Dion e Giorgia o Whitney Houston. Ma il vero sogno era diventare come Mina. I primi successi nelle Rsa».
In che senso?
«Cantavo mentre pulivo. Gli ospiti anziani ascoltavano in silenzio. E poi applausi calorosi. Tanti complimenti. E a dirmi: “Annina, tu devi fare la cantate. Entra in Conservatorio”. Pensavo: sì, certo. Ma lì studiano solo lirica. [...] Alla fine ho preso lezioni.
Il mio maestro, sentendomi cantare l’ Ave Maria di Schubert mentre preparavamo l’ammissione in Conservatorio, rimase colpito. Iniziò allora a farmi ascoltare un’infinità di opere liriche. Raccontarmi le trame. Fiabe. Mi fece poi ascoltare Norma , la Callas in Casta diva . Un fulmine. Quella era la mia nuova meta. A 25 anni entrai in Conservatorio».
E il rugby?
«Continuavo a giocare. Mi fracassai il setto nasale durante una partita. Il mio maestro: “Scegli: pilone o sovracuti”. Scelsi i secondi. Sono passata su un nuovo campo di battaglia, la lirica. Una carriera da costruire, pregiudizi da combattere».
Body shaming?
«Esatto. Mai proprio dichiarato. Ma dopo le audizioni la scelta cadeva su altre. La società è cambiata, lo è anche la lirica. I fenomeni sociali come il #MeToo, l’inclusività, il black face, appunto il body shaming sono realtà da combattere. [...] La nostra società è schiava dell’apparire. L’opera lirica è uno spettacolo complesso, ma si articola attorno a voce e musica. E dalla prima non si può prescindere. Sul lungo periodo si rischia di penalizzare tutto».
La Callas, voce e fisico.
«Tutte ci ispiriamo. Ma è un unicum. Irripetibile. Dopo aver smesso di giocare il mio corpo è cambiato. Diete? Impossibili con le recite teatro. Mi sono poi resa conto che la mia voce è il mio corpo. [...]».
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