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MACELLERIA PUTINIANA - PAOLO GIORDANO SULLA MORTE DELLA GIORNALISTA UCRAINA VIKTORIIA ROSHCHYNA, IL CUI CORPO È STATO RESTITUITO DAI RUSSI SENZA ORGANI PER NASCONDERE LE TORTURE - "LE STORIE DEI GIORNALISTI NELLE ZONE OCCUPATE SONO QUINDI SPIE DI COME VA IL MONDO. E IL MONDO NON STA ANDANDO BENE" - ROSHCHYNA SVOLGEVA INDAGINI SUGLI AGENTI DELL’FSB (I SERVIZI SEGRETI RUSSI) NELLE ZONE OCCUPATE DELL'UCRAINA - IL 'COMMITTEE TO PROTECT JOURNALIST' HA DESIGNATO IL 2024 COME L’ANNO IN CUI SONO MORTI PIÙ GIORNALISTI DA QUANDO IL COMITATO ESISTE. IL CONTRIBUTO MAGGIORE ARRIVA DA...
Estratto dell'articolo di Paolo Giordano per il "Corriere della Sera"
Dalla parte più alta di Nikopol, sulla sponda del Dnipro libera dall’occupazione russa, si vede Enerhodar. La centrale nucleare, che noi chiamiamo «di Zaporizhzha», si staglia al di là del fiume. A luglio 2023, dopo il sabotaggio della diga di Khakovka, non c’era quasi più acqua in quel tratto. Al netto dei cecchini e delle mine, sembrava possibile raggiungere i reattori a piedi.
Nello stesso mese in cui mi trovavo lì, a valutare quella distanza, Victoria Roshchyna lasciava l’Ucraina per raggiungere proprio Enerhodar occupata. Per arrivarci ha dovuto aggirare la linea del fronte, percorrere più di duemila chilometri attraverso la Polonia e la Lituania, poi da nord a sud nella Russia nemica e lungo la sponda nord del mare di Azov.
paolo giordano foto di bacco (2)
Forse per scacciare l’immagine del suo cadavere devastato, nelle scorse ore ho pensato soprattutto all’assurdità del percorso che Roshchyna aveva compiuto, a quei venti chilometri trasformati in duemila dall’invasione russa. A come la guerra lacera anche lo spaziotempo oltre alle persone. E ho pensato a quanto profonda dev’essere stata la sua solitudine in quel tragitto, ancora prima di essere arrestata, prima di essere torturata e uccisa.
Era pericoloso quello che faceva Victoria Roshchyna. Troppo pericoloso. Dissennato. Una giornalista ucraina che svolge indagini sugli agenti dell’FSB nelle zone occupate. Più che fegato ci va della follia. Perfino il suo giornale si era rifiutato di sostenerla nell’ultima missione, così lei aveva continuato come freelance.
La caporedattora di Ukrainska Pravda, con cui da allora collaborava, ha dichiarato: «Victoria era il ponte fra l’Ucraina e quei territori. Da quando è scomparsa non c’è più copertura di ciò che succede lì». La questione sull’opportunità del rischio che aveva preso per sé rimane dunque aperta, soprattutto per chi si occupa di informazione. Non ha una risposta semplice, forse non ha una risposta sola.
Meno di un mese prima che Roshchyna partisse, un’altra Victoria, Amelina, anche lei originaria dell’Ucraina dell’est, era stata uccisa in un bombardamento russo. Il suo libro rimasto incompiuto e pubblicato da poco in Italia, Guardando le donne guardare la guerra, si concentra proprio sull’impossibilità di conciliare fra loro certi principi fondamentali, come l’essere madre e l’essere una scrittrice chiamata a documentare i crimini commessi nel proprio Paese. Ora apro le fotografie di Victoria e Victoria e le affianco sullo schermo. [...]
MEME SULL INCONTRO TRA TRUMP E ZELENSKY A SAN PIETRO BY EMAN RUS
Martedì, leggendo l’articolo di Marta Serafini sulla salma di Roshchyna riportata in Ucraina «con segni di tortura e senza organi», riconoscibile solo dall’analisi del dna, mi sono dovuto fermare più di una volta. Sono riuscito ad arrivare al fondo solo la sera.
Un’altra giornata intera mi ci è voluta per leggere il report di Forbidden Stories sulla sua prigionia. Non era solo la nausea di raffigurarmi in continuazione il corpo scempiato. Era quell’immagine accompagnata alla lucidità con cui lo scempio era stato prodotto. Verosimilmente l’espianto degli organi è avvenuto per non lasciare prove ancora più inconfutabili delle torture.
La salma era stata chiusa in due sacche e quella più esterna identificava Roshchyna come uomo, forse nella speranza che nessuno in Ucraina si prendesse il disturbo di guardare dentro. Una lucidità criminale del genere, una lucidità che si preoccupa del giudizio internazionale, è difficile da tenere insieme al livello delle atrocità commesse su Victoria da viva. O la brutalità sadica o il calcolo strategico: insieme sono intollerabili. La combinazione rende ancora più sinistre le spinte alla normalizzazione della Federazione Russa e del suo operato, solo perché così desidera Donald Trump e perché sì, insomma, sono passati più di tre anni, adesso basta.
L’assassinio di giornalisti e scrittori ferisce in modo particolare l’immaginario di noi giornalisti e scrittori. L’identificazione è inevitabile, se poi si tratta di una professionista di ventisette anni non ne parliamo. Ma l’assassinio di giornalisti e scrittori dovrebbe incidere in modo diverso sull’immaginario di chiunque. Non solo perché il corpo di chi documenta le situazioni di conflitto è sacro — al pari di quello dei bambini, del personale medico, dei civili tutti —, ma perché il corpo di chi racconta la guerra è il rappresentante, nonostante tutto, della civiltà in mezzo alla violenza.
È il nostro deputato, la prova che la civiltà esiste ancora, da qualche parte, e prima o poi tornerà a chiedere conto di come ogni azione bellica è stata compiuta. Dove il corpo di chi racconta viene violato, dove questo viene fatto sistematicamente, è l’ordine sociale stesso a essere oltraggiato. La guerra diventa puro crimine .
Le storie dei giornalisti nelle zone occupate sono quindi spie di come va il mondo. E il mondo non sta andando bene. Il CPJ, il Committee to Protect Journalists, ha designato il 2024 come l’anno in cui sono morti più giornalisti da quando il comitato esiste, cioè più di quarant’anni. Il contributo maggiore arriva ovviamente dalle centinaia di giornalisti uccisi a Gaza. Alquanto ironico: il periodo d’oro dell’informazione coincide con il periodo nero dell’informazione.
Le condizioni di prigionia di Victoria Roshchyna, le scosse elettriche, l’osso del collo spezzato forse in un mezzo strangolamento, i «garage» di Melitopol da cui si sentono uscire le urla dei prigionieri torturati, lo stato del cadavere: tutto ciò è misura del carattere delle guerre in corso. Non di tutte le guerre, non di ciò che accade sempre e ovunque: di queste guerre oggi. Di come troppi Paesi hanno derogato alle regole umanitarie fondamentali su come si combatte.
Quarantacinque giornalisti internazionali hanno partecipato al progetto di Forbidden Stories che ha permesso di ricostruire gli spostamenti di Roshchyna e i luoghi della sua incarcerazione, da agosto 2023 fino alla morte, più di un anno dopo. Quarantacinque suoi colleghi, quarantacinque nostri colleghi: questo mi commuove. [...]
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