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Laura Almici per www.bresciatoday.it
Incontriamo Michel - così si chiama per l’anagrafe da qualche anno, alla nascita era Riccardo - in un centro commerciale della provincia. Non ha tempo per le presentazioni e i convenevoli, da quando è scesa dal letto fa avanti e indietro dall’ufficio di stato civile del Comune gardesano dove risiede. Tra le unghie dipinte di mille colori stringe una sentenza della cassazione, che spera le serva a togliere definitivamente la lettera "M" alla voce sesso sui documenti.
"Si può fare e questa sentenza lo dimostra, se riuscissi a far mettere una F al posto della M sulla carta d'identità forse sarebbe più facile trovare lavoro", spiega con voce squillante ricordandosi il motivo del nostro incontro. Michelle, questo è il nome che vorrebbe avere scritto sui documenti, ci ha contattati perché si è vista negare un diritto, quello ad avere un posto di lavoro fisso, a causa della sua identità sessuale.
Dopo anni di porte sbattute in faccia e di più garbati, ma non meno dolorosi “le faremo sapere”, lo scorso maggio aveva finalmente trovato un impiego come lavapiatti, in una struttura pubblica. Un contratto a tempo determinato, un sogno realizzato.
“Non mi sembrava vero, finalmente avevo uno stipendio fisso, una base per fare progetti e costruirmi il mio futuro - racconta -. Mi sono impegnata al massimo delle mie capacità, tanto che la responsabile della struttura ha scritto una lettera di merito piena di elogi e mi era stato prolungato il contratto. Purtroppo, il ruolo di responsabile è stato poi preso da un’altra persona, da un uomo che ha fatto di tutto per farmi lasciare a casa. Io non mi sono fatta scoraggiare, ma lui ha scritto una nota molta negativa nei miei confronti e il mio contratto non è più stato rinnovato. Mi ha condannata perché sono transessuale, non perché non sono capace di lavorare.”
Michelle ha 29 anni e da quando ne ha 15 è il bersaglio di insulti e cattiverie. Discriminata ed emarginata dal mondo della scuola prima, da quello del lavoro poi: “Io mi sono sempre sentita una donna, fin da piccola. Ho cominciato a prendere gli ormoni a 15 anni, di nascosto. Poi ho deciso di uscire alla scoperto e ho raccontato la mia omosessualità in un tema scolastico. I professori hanno chiamato i miei genitori e ne è nato un vero e proprio scandalo. Ho sempre avuto voti alti, ma dopo quel tema è cambiato tutto e alla fine dell'anno mi hanno bocciata. Ho cambiato scuola, ma le prese in giro e le cattiverie dei compagni erano intollerabili, così alla fine ho lasciato perdere.”
L’ancora di salvezza di Michelle è il padre, un comandante dei Carabinieri in pensione, che è stato capace di mettere da parte tutto e tutti per vedere sua figlia felice. È lui che le ha pagato le due operazioni al seno e che la sostiene economicamente, permettendole di vivere da sola:
“A 17 anni ho voluto andare a vivere da sola e lavoravo in bar estivo per potermi mantenere - racconta ancora Michelle -, anche se mio papà non ha mai smesso di aiutarmi. Mio padre è un uomo privo di egoismo, quando è nato si sono completamente dimenticati di dargliene. Credo non sappia neanche bene cosa significhi il pensare a sé stessi. Ma ora ha settant’anni ed è in pensione e io sono stufa di farmi mantenere da lui. Chiedo un lavoro serio e onesto, il mio desiderio è di mettere via un po’ di soldi e aprirmi un bar. Non voglio ridurmi come molte mie amiche, costrette, per il mio stesso problema, a prostituirsi. Non voglio nemmeno lavorare nei locali notturni a mettere in mostra il mio corpo.”
A fare le valige e trasferirsi in un altro paese o in un’altra città Michelle non ci pensa proprio: “Non voglio scappare, non avrebbe senso e non servirebbe a nulla. La mia vita è qua e io non voglio rinunciare alla mia battaglia. Chiedo solo una possibilità, spero di trovare qualcuno che mi dia fiducia, che mi valuti per le mie qualità e capacità professionali e non per la mia identità sessuale.”
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