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"MIO FIGLIO TERRORISTA E QUEI SEGNALI LANCIATI CHE IO NON HO CAPITO" - LO SFOGO DISPERATO DI VALERIA COLLINA, MADRE DEL KILLER DI LONDRA YOUSSEF ZAGHBA - "LA MIA PIU’ GRANDE COLPA NON AVERGLI INSEGNATO LO SPIRITO CRITICO" - “NON RIESCO A ELABORARE LE ATROCITA’ CHE HA COMMESSO. UNA DIFESA ESTREMA PER CONTINUARE AD AMARLO”
Fabio Tonacci per La Repubblica
Sono passati quasi cinque mesi, e Valeria non ha ancora trovato un posto dentro di sé dove sistemare la notte del 3 giugno. Quando ha scoperto di essere la mamma di un terrorista. E la madre di un figlio morto.
«Non riesco a vedere Youssef come un jihadista assassino», ti dice, con la franchezza disarmata di chi sente di avere ormai poco da perdere. «La mia mente si sta aggrappando a difese estreme per continuare ad amarlo, per questo non ce la faccio ad elaborare le atrocità che ha commesso».
Valeria Kadija Collina ha 68 anni. Ha scritto un libro coraggioso, che è insieme il racconto della sua vita e uno sforzo di autocoscienza per esplorare fin dove affondavano le radici di quell' odio segretamente coltivato dal figlio.
Da giovane Valeria è una femminista convinta, faceva teatro. Una trentina di anni fa conosce Mohamed Zaghba, marocchino e musulmano. Si innamora, si converte all' Islam («per anni ho volontariamente indossato il niqab ») e si trasferisce a Fez.
La casa a Bologna di Youssef Zaghba
Hanno due figli: Kaouthar e Youssef, il terzo uomo del commando stragista che tra il London Bridge e il Borough Market ha ucciso otto persone.
Quando è iniziata la radicalizzazione?
«Nel 2015 mi accorsi che Youssef aveva la bandiera dell' Isis su Facebook e dei video di propaganda nei quali sembrava che nel Califfato tutto funzionasse bene. Credo che sia stato un suo amico del liceo a procurarglieli».
In Rete si trovavano anche i filmati delle decapitazioni.
«Sosteneva che fossero stati obbligati a compierle, per difendersi da aggressioni esterne.
Considerava lo Stato Islamico l' unico luogo dove si potesse praticare l' Islam puro, e infatti mi ha proposto di andare in Siria»
Come ha reagito?
«Ho provato a spiegargli che l' Isis era solo una costruzione politica e che le violenze non erano ammesse dalla nostra religione».
Non è un po' poco, di fronte a segnali così preoccupanti?
«Per molto tempo ho rifiutato di addossarmi una colpa per ciò che aveva fatto Youssef: l' Islam ci insegna che ognuno è responsabile delle proprie azioni.
Poi però ho capito di aver fatto un errore: non ho insegnato ai miei figli ad avere uno spirito critico. Questa è la mia colpa di madre».
Suo marito Mohamed non diceva niente?
«Non si è mai posto il problema. E Youssef si confidava solo con me».
Ha mai pensato di segnalare suo figlio alle autorità marocchine?
«In Marocco non funziona come in Europa: una segnalazione significa rovinare una persona».
i terroristi di londra vengono uccisi dalla polizia 6
Nel 2016 ha lasciato suo marito ed è tornata a vivere nel Bolognese. Nello stesso periodo suo figlio ha provato ad andare in Turchia...
«Non ero preoccupata, perché Youssef non era mai stato un tipo aggressivo nonostante la nostra fosse una famiglia in cui purtroppo c' era violenza da parte di Mohamed ».
All' aeroporto Marconi disse di voler fare il terrorista, poi si corresse e usò la parola turista.
«Sperava inconsciamente di essere bloccato. Aveva bisogno di uno psicologo, ma non accettava di vederne uno»
Poteva essere fermato prima del 3 giugno 2017?
«Non lo so. Di sicuro le autorità inglesi lo hanno sottovalutato: lui stesso mi raccontava che negli aeroporti passava i controlli senza essere fermato, nonostante la segnalazione della polizia italiana».
borough market dopo l attentato
Come ha reagito la comunità musulmana italiana dopo l'attentato?
«Con paura. Quando ci sono fenomeni di radicalizzazione, la comunità dovrebbe trovare la forza di affrontarli insieme collaborando con le autorità.
Ma non c' è fiducia nelle istituzioni, anche per le tante espulsioni decise dal governo italiano. Mi sono ritrovata sola e isolata: sono la madre di un terrorista, ma non sono una terrorista».
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