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Alberto Mattioli per "La Stampa"
una foto di luca attanasio e la moglie
Don Angelo Gornati, ex parroco di Limbiate, lo conosceva dai tempi dell'oratorio di San Giorgio. Il ragazzino era diventato ambasciatore d'Italia ed è stato don Angelo a sposarlo con Zakia Seddiki, marocchina e musulmana: «Una doppia cerimonia, islamica là e cristiana qui. Luca era una luce che si accendeva e illuminava gli altri, un raggio di sole. Veniva da una bella famiglia, molto unita, e ne aveva costruita un'altra così. Sempre sorridente, positivo, altruista. All'oratorio aveva fondato un gruppo di sostegno per gli anziani malati e poi un altro per i ragazzi disabili. Aveva continuato anche da diplomatico come presidente dell'associazione "Mama Sofia", fondata dalla moglie per aiutare le mamme e le bambine di strada del Congo. Non dimenticava la sua città e gli amici. La diplomazia l'ha imparata qui. Era un appassionato frequentare della comunità di Taizé e una volta che un gruppo internazionale di una sessantina di ragazzi si è riunito a Limbiate è stato lui a gestirlo».
De mortuis nihil nisi bonum, certo. Eppure l'impressione è che in questa cittadona di 36 mila abitanti fra Milano e Monza, 4 mila extracomunitari, il 70 per cento dei cittadini arrivati a suo tempo dal sud, Luca Attanasio fosse davvero amato.
Era il compaesano che aveva fatto strada nel mondo, e tutti ne erano contenti. «Abbiamo sempre pensato che fosse destinato a un bell'avvenire», dicono in piazza Cinque giornate. I genitori, papà Salvatore, ingegnere in pensione, e mamma Alida, casalinga, sono chiusi in casa. Hanno appreso la notizia dai tiggì. L'ultimo messaggio dal figlio l'hanno ricevuto ieri mattina: una fotografia di lui in partenza per quella che sarebbe stata la sua ultima missione.
luca attanasio con la moglie e le figlie
«Mi spiace, non abbiamo intenzione di vedere nessuno»: neanche in momenti come questi la famiglia riesce a essere sgarbata con i giornalisti. Don Angelo ha sentito la sorella minore, «è una tragedia, siamo sconvolti», gli ha detto, come qualcuno che ancora non si capacita di quel che è successo dall'altra parte del mondo. La moglie di Attanasio è a Kinshasa con le loro tre figlie: una ha tre anni, le gemelline due.
A Limbiate c'è un'atmosfera strana, sospesa fra disperazione e incredulità. Attanasio era l'espressione del cattolicesimo lombardo più tipico, fede e opere, l'oratorio come base, il volontariato come missione, concretezza e voglia di aprirsi al mondo. Uno dei migliori amici dell'ambasciatore assassinato («Il nome no, per piacere») ha fatto con lui il master all'Ispi dopo la laurea a pieni voti alla Bocconi.
SELFIE DI LUCA ATTANASIO E LA MOGLIE
Attanasio prima aveva lavorato due anni alla McKinsey, poi ha scelto la carriera che aveva sempre sognato, quella diplomatica. «Ci conoscevamo dai tempi dell'oratorio di cui gli piaceva tutto tranne che giocare a pallone, l'unica cosa che non è mai riuscito a fare bene. Ma la sua vera passione era il prossimo. Attenzione: era buono, non buonista. Non si limitava all'empatia, passava ai fatti. Aveva delle idee ed era anche capace di realizzarle». Fino a rischiare? «Non credo sia mai stato imprudente. Era sempre consapevole di quel che faceva».
luca attanasio ambasciatore ucciso
Una vita glocal, la sua. Il mal d'Africa l'aveva colpito fin dai tempi in cui era console a Casablanca, dove aveva incontrato Zakia. Poi l'aveva accompagnato in Nigeria. Lì non si trovava bene, «posso uscire solo in certi orari, e sempre scortato», raccontava. Infine era approdato in Congo, certo non una sede da diplomatici di lusso. Ma allo stesso tempo non dimenticava le radici, questo pezzo d'Italia magari anonimo ma di antica civiltà.
Il sindaco, Antonio Romeo, è nel suo ufficio, affranto. «Mi ha mandato l'ultimo messaggio venerdì. Era felice perché il Comune era finalmente riuscito ad acquistare una villa storica per farci il Centro culturale. "Era il nostro sogno", scriveva».
L'ambasciatore con la faccia da ragazzino dimostrava meno dei suoi 43 anni anche perché metteva la cravatta solo quando era necessario. Era impegnato in progetti di cooperazione internazionale concreti, non chiacchiere e distintivi.
Per questo, l'anno scorso avevano attribuito a lui e alla moglie il premio Nassiriya per la pace. Il suo discorso suona come un testamento, o una premonizione: «Il ruolo dell'ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani, ma anche di contribuire al raggiungimento della pace. La nostra è una missione, a volte anche pericolosa, ma abbiamo il dovere di dare l'esempio».
Racconta l'ex sindaco Raffaele De Luca, amico di famiglia: «Era in Congo da tre anni e mezzo, la regola è quattro, quindi si chiedeva già se gli avrebbero dato un'altra sede o richiamato a Roma. Ma avrebbe fatto bene ovunque».
Davanti al Municipio le bandiere sono a mezz'asta. In attesa del lutto cittadino si è già deciso di dedicare a Luca Attanasio il Centro culturale. Seduta a un tavolino del «Petit bistrot», davanti al Comune, una sua coetanea non riesce ancora a crederci: «Era una bella persona». E si capisce che è proprio così.
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