DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Alberto Mattioli per "la Stampa"
Piccolo ricordo personale: 2 ottobre 2014, Metropolitan Opera di New York, in cartellone Le nozze di Figaro.
James Levine entra in buca sulla sua sedia a rotelle meccanizzata e sale sul podio grazie allo speciale marchingegno che lo solleva insieme con la carrozzina. Il tutto tremando vistosamente per il Parkinson. Io (e altri): oddìo, ce la farà? E chissà che Mozart crepuscolare ci toccherà. Bene: fu un Figaro solare, brioso, contrastato, forse il più incalzante che abbia ascoltato. La folle journée, davvero.
Levine è morto il 9 a Palm Springs, a 77 anni. Poche volte nella storia dell' opera un musicista e un teatro si sono identificati così. Il musicista era lui; il teatro, il Met. Debuttò nel 1971 (Tosca con Bumbry e Corelli); nel '76 era direttore musicale; nell' 86 direttore artistico.
Al Met ha diretto più di chiunque altro, oltre 2.500 recite di una settantina titoli, da Mozart a Adams passando per tutto quel che c' è in mezzo, soprattutto Verdi e Wagner (a proposito: personalmente memorabile anche il Moses und Aron del '99, e grazie a un Dio dodecafonico c' è il live). Sul caminetto aveva 37 Grammy.
Questa bella storia finì con una bruttissima vicenda. Nel dicembre 2017 tre uomini accusarono Levine per abusi sessuali subiti a partire dalla fine degli anni 60, quando erano ancora adolescenti. Uno affermò di essere stato spinto alle soglie del suicidio. Le voci, peraltro, circolavano da tempo.
Ma stavolta il Met sospese il maestro, avviò un' indagine, e poi lo licenziò per «condotta molesta e abusiva». Levine, che aveva sempre negato le accuse, contestò il provvedimento e fece causa al teatro chiedendo 5,8 milioni di dollari di danni. Nel '19, secondo il New York Times, ne ottenne tre e mezzo con una transazione.
Nato a Cincinnati nel '43 da una famiglia di artisti (il nonno era cantore di sinagoga, il papà violinista, la mamma attrice), «Jimmy» tenne il primo concerto come pianista a dieci anni, studiò alla Juilliard e debuttò come direttore nel '70.
Dopo, tanto Met, ma anche i podi delle principali orchestre americane e europee, i festival di Salisburgo e Bayreuth. In Italia, pochissimo: sarebbe dovuto venire quest' anno a Firenze e a Santa Cecilia.
Era un grande direttore e soprattutto un grandissimo direttore d' opera: la prima caratteristica è premessa necessaria ma non sufficiente alla seconda. Aveva il senso del teatro e amava riamato i cantanti. Per dire: era uno dei pochissimi capaci di far andare a tempo Pavarotti (beh, quasi) e di impedire alla Caballé di cantarsi addosso. A proposito: dovendo scegliere uno dei suoi dischi, ascoltate la Giovanna d' Arco di Verdi: meravigliosa.
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