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Gianni Santucci per il "Corriere della Sera"
Si affidano a un avvocato e nel tardo pomeriggio di ieri, a due giorni dalla morte della figlia Camilla, 18 anni, che il 25 maggio si era vaccinata con la prima dose di AstraZeneca, Roberto e Barbara Canepa spiegano che la ragazza «non aveva alcuna malattia ereditaria». Mettono così un punto fermo in una storia che coinvolge valutazioni scientifiche, un complesso sviluppo medico e sanitario, un profondo strazio emotivo e, in ultimo, l'approccio verso la campagna vaccinale di un intero Paese.
Al momento un primo dato sembra acquisito: nella «scheda anamnestica» (già sotto sequestro), e cioè il formulario che bisogna consegnare prima della vaccinazione, indicando eventuali patologie o uso di farmaci per poter valutare i rischi, la ragazza di Sestri Levante non ha segnalato nulla. Nella cartella clinica dell'ospedale di Lavagna (il primo dove Camilla viene accolta e tenuta una notte in osservazione, il 3 giugno) sarebbero però cristallizzati due elementi: una «piastrinopenia», e cioè una carenza di piastrine nel sangue, e una patologia autoimmune, riscontrata attraverso l'«anamnesi patologica remota» (dunque la considerazione di tutte le malattie del passato). Il punto chiave che dovrà chiarire l'inchiesta della Procura di Genova sarà: la ragazza era consapevole di avere, o aver avuto, problemi di salute da segnalare ai medici?
Anche per questo, al di là della consultazione di tutti i documenti dei quali i magistrati hanno ordinato il sequestro ai carabinieri del Nas, verranno convocati anche alcuni testimoni. Prima di tutto, medici e infermieri presenti al momento della vaccinazione, per capire quale scambio di informazioni abbiano avuto a voce con la ragazza, al di là di ciò che è segnalato sulla scheda compilata. E poi, in particolare, anche un altro medico: quello che ha prescritto i farmaci a base di estrogeni e ormoni che Camilla ha iniziato ad assumere il 29 maggio, quattro giorni dopo la vaccinazione, per curare un problema ginecologico.
Il medico sapeva del vaccino quando ha prescritto quei farmaci? Ne ha valutato i rischi? L'indagine sulla morte della ragazza (avvenuta al policlinico «San Martino» di Genova il 10 giugno, dopo due interventi disperati quando il quadro clinico era già quasi del tutto compromesso) dovrà provare a definire il nesso di causa in una catena di possibili interazioni: le condizioni cliniche di Camilla (conosciute o no), la somministrazione del vaccino AstraZeneca (che secondo i dati più aggiornati, soprattutto nelle donne giovanissime o giovani, può provocare una trombosi in un caso su 100 mila), e la quasi concomitante assunzione di quei farmaci a base di ormoni, che tra le principali controindicazioni hanno proprio il rischio di trombosi.
Uno scenario con diversi elementi che potrebbero, nella loro interazione, aver sommato o moltiplicato i fattori di rischio. Un farmaco in particolare, tra quelli prescritti a Camilla, viene valutato in questa fase con particolare attenzione: il «Progynova», che alcune fonti mediche definiscono un «vecchio» estrogeno, assai potente, utilizzato soltanto dopo uno screening molto approfondito e sotto stretto monitoraggio, dunque una medicina a più alto rischio di trombosi. Nelle carte dell'inchiesta finiranno anche i documenti del Comitato tecnico scientifico nazionale che hanno autorizzato gli «open day» con AstraZeneca (nonostante fosse un vaccino «consigliato» per persone over 60) e i report dell'Ema sulle «trombosi post-vaccinali».
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