DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Margherita De Bac per il “Corriere della Sera”
Che li facciano i giovani è scontato. Ma che i tatuaggi godano di un successo schiacciante soprattutto fra i più maturi è una sorpresa.
È tra 35 e 44 anni che uomini e donne sentono e realizzano il desiderio di disegnarsi il corpo. Schiena, tricipiti, polsi e polpacci ricoperti di aironi, cuori, draghi, putti che scoccano frecce, nomi e date o segni tribali. Il 30% dei circa 7 milioni di tatuati (il 12,8% della popolazione) arrivano al piacere delle decorazioni sulla pelle quando gli anni della spregiudicatezza sono tramontati.
Anche i ricercatori dell’Istituto superiore di sanità che hanno lavorato sulla prima indagine italiana condotta con metodo scientifico sono rimasti di stucco di fronte ai risultati. Lo studio è stato elaborato sulla base di risposte a questionari somministrati a 7.608 intervistati dai 12 anni in su, per telefono o per via elettronica, da Ondico, l’organismo che all’interno dell’istituto presieduto da Walter Ricciardi si occupa di dispositivi medici e cosmetici. Tra i dispositivi rientrano i tatuaggi utilizzati per fini medici, ad esempio coprire le conseguenze di un intervento chirurgico.
Il fenomeno è più diffuso tra le donne — 13,8% — rispetto agli uomini. Il primo «timbro» è a 25 anni mediamente ma è tra 35 e 44, appunto, che si registra il picco. Un milione e mezzo di persone hanno tra 25 e 34 anni. Tra i minorenni la percentuale si abbassa al 7,7%.
tatuaggio all'alexandra palace
Alberto Renzoni, tecnologo, uno dei ricercatori che ha lavorato sull’indagine, ricorda sorridendo la scheda di un nonno che si è fatto pigmentare una piccola parte dell’epidermide accompagnato dai nipoti.
Le sorprese non finiscono qui. Non ci si aspettava infatti che le motivazioni dei tatuati si fossero profondamente modificate. Inizialmente la mania è nata per esprimere ribellione, anticonformismo, trasgressione. Oggi invece 3 su 10 dichiarano di sottoporsi all’ago perché «mi piace», il 27% per immortalare dati e nomi, il 9% perché è di moda e solo il 4% per trasgressione.
Probabilmente anche la percezione negativa da parte dell’opinione pubblica si è ammorbidita e liberata di pregiudizi. Chi si presenta al lavoro con le braccia coperte di ghirigori non viene messo all’indice come un tempo.
tatuaggio militare pantera nera
Il 66% degli intervistati dichiara un unico tattoo, il 26% da due a tre, il 4,8% da quattro a cinque e il 2,5% più di cinque. Viene da chiedersi come mai un istituto di ricerche in sanità pubblica abbia voluto dedicarsi a uno studio del genere: «È un periodo in cui si discute molto di una normativa europea che elimini le disomogeneità. In Italia c’è differenza perfino tra le regioni. Bisognava dunque censire il fenomeno e verificare il livello di consapevolezza dei cittadini», dice Renzoni.
E di consapevolezza ce n’è? «Sembra assurdo ma molti non sanno che tatuarsi comporta rischi di reazioni allergiche e di contrarre malattie infettive gravi a cominciare dall’epatite. I colori, ad esempio il rosso, sono meno tollerabili del bianco e nero. Segni indelebili, da tenersi a vita».
Dodicimila italiani ogni anno cercano di cancellarli ricorrendo alla medicina estetica, con risultati deludenti. L’ombra resta nella maggior parte dei casi.
Molte differenze tra gli operatori. La Toscana richiede 600 ore di formazione prima di rilasciare il patentino ai dermopigmentatori, altrove sono sufficienti corsi di una settimana. All’inizio di agosto il ministero della Salute ha lanciato l’allarme sui prodotti in seguito a controlli dei Nas (Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri). Il 18% delle sostanze usate per arabescare la pelle è contaminato da microbi e funghi.
Secondo dati recenti, il 76% dei tatuati si è rivolto a centri specializzati, il 9,1% a un centro estetico e il 14,4% al di fuori di laboratori autorizzati. Da queste evidenze, i consigli.
Primo: rivolgersi a personale in possesso dell’idoneità igienico-sanitaria che lavora in una struttura autorizzata.
Secondo: pretendere di leggere il consenso informato contenente informazioni sul tipo di inchiostri utilizzati che devono essere sterili, privi di tossicità e essere conservati in materiali monouso.
Terzo: rivolgersi subito al medico se durante la successiva fase di cicatrizzazione si avvertono fastidi.
Quarto: l’operatore deve indossare camice, maschera e guanti usa e getta.
Quinto: evitare di incidere date e nomi, specie se di fidanzati o fidanzate. Se il partner cambia, sono guai.
2. SONO DIVENTATI UN MODO PER COMUNICARE
Elena Tebano per il “Corriere della Sera”
Se l’età del primo tatuaggio è in media 25 anni, gli italiani più tatuati sono quelli tra i 35 e i 44 anni. Non è un po’ tardi per quello che di solito viene considerato un rito giovanile?
«No, perché i tatuaggi ormai sono diventati una modalità comunicativa. E per la generazione che ha iniziato a usarli come forma d’espressione di sé, accumularne di nuovi è solo un aggiornamento identitario.
Se questa, in altre parole, è la modalità che hai trovato per dire al mondo chi sei, anche da adulto ogni esperienza della tua vita, per esempio la nascita di un figlio, richiede di essere registrata e mostrata agli altri così» spiega Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, esperto di identità giovanile.
In che senso una modalità comunicativa?
«Finita l’epoca dei grandi conflitti generazionali, nella società del narcisismo e della visibilità, lavorare sul corpo è un supporto dell’identità. La pelle è diventata una sorta di lavagna attraverso la quale dare visibilità ad aspetti di sé che riguardano anche la sfera intima. In fondo è una soglia, a metà tra interno ed esterno, il luogo in cui questi due ambiti si parlano».
Perché prima non si faceva?
«È cambiato il modo di intendere il corpo. In passato vi si interveniva solo in caso di malattia mentre per esprimere se stessi si lavorava su abbigliamento e ornamenti. Oggi la tecnologia ci ha portato a ritenere più naturale modificare il proprio corpo. Basti pensare alla chirurgia estetica».
Le conseguenze sono letteralmente indelebili...
«Mettere un segno sulla pelle rimane una scelta radicale. Ma all’epoca dei social media, del tutto esposto, è come se il confine tra esterno e interno, vita privata e pubblica, sia sempre più permeabile».
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