marco cappato

“PRIMA DI SALUTARMI PER SEMPRE, ELENA MI HA RINGRAZIATO PER AVERLA AIUTATA A NON COINVOLGERE LA SUA FAMIGLIA NELLE VICENDE GIUDIZIARIE A CUI SAREBBE POTUTA ANDARE INCONTRO” - PARLA MARCO CAPPATO, CHE HA ACCOMPAGNATO IN SVIZZERA UNA MALATA ONCOLOGICA TERMINALE PER IL SUICIDIO MEDICALMENTE ASSISTITO: “CHIEDIAMO LA PIENA LEGALIZZAZIONE DELL'EUTANASIA, IL CHE VUOL DIRE ELIMINARE DISCRIMINAZIONE TRA MALATI. LA SECONDA È CHE IL MEDICO POSSA INTERVENIRE DIRETTAMENTE SENZA INCORRERE IN UN REATO, PUNIBILE FINO A 15 ANNI…”

Francesca Del Vecchio per “la Stampa”

 

MARCO CAPPATO PROMUOVE IL REFERENDUM EUTANASIA

«Ho il privilegio, con l'Associazione Luca Coscioni, di potermi battere per quello in cui credo, per una libertà che va riconosciuta a tutti: non è un sacrificio ma un onore che mi emoziona ogni volta. La gratitudine delle persone che ho aiutato vale più delle difficoltà che incontro. E anche più dei rischi». I rischi di cui Marco Cappato parla sono quelli giudiziari, come la reclusione, in cui incorre ogni volta che accompagna qualcuno che si rivolge all'Associazione a morire in Svizzera.

 

Come nell'ultimo caso, quello di Elena, malata oncologica terminale con un'aspettativa di vita di pochi mesi, accompagnata lunedì scorso da Cappato in una clinica di Basilea per il suicidio medicalmente assistito. Che cosa vi siete detti con la signora nelle otto ore di viaggio, dal Veneto alla Svizzera?

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«Abbiamo parlato di un sacco di cose: del suo amore per i cani e per il suo lavoro. Del suo legame profondo con la famiglia. Mi ha raccontato degli enormi sforzi fatti per mettere su l'hotel che gestiva con il marito e la nuova casa, nella quale si erano trasferiti da poco. Tutto questo, conquistato con grandi sacrifici, senza poter neanche goderne a causa della malattia».

 

Come vi siete salutati con Elena?

«Sono rimasto con lei fino alla fine. E prima di salutarmi mi ha ringraziato per averla aiutata a non coinvolgere la sua famiglia nelle vicende giudiziarie a cui sarebbe potuta andare incontro. Questa era la sua più grande preoccupazione: non voleva causare loro dei problemi con la legge».

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Il caso di Elena è diverso da quello, per esempio, di dj Fabo. Perché?

«Si può dire che Elena sia stata discriminata dalla sentenza della Corte Costituzionale (numero 242/2019, ndr): quella pronuncia sancisce il diritto all'aiuto al suicidio solo per i malati tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Diversamente da Mario/Federico Carboni (primo caso di suicidio assistito in Italia, ndr) e da Fabiano Antoniani, Elena non era tenuta in vita da alcun macchinario».

 

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Che cosa ha detto ai carabinieri di Milano nella sua autodenuncia di ieri?

«Innanzitutto, non ho minimizzato l'apporto dato a Elena. Ho voluto chiarire che il mio contributo è stato indispensabile: dalla logistica, andando a prenderla a casa e accompagnandola con la mia macchina, fino alla traduzione dei documenti medici, una volta arrivati in clinica. Ho spiegato anche che Elena era perfettamente consapevole di non rientrare nei casi previsti dalla sentenza della Corte e ho fatto presente che in futuro, se sarò in condizione di poterlo fare e se mi verrà chiesto, continuerò a fornire questo tipo di aiuto. Ovviamente, questo potrebbe avere una rilevanza sul piano giuridico per quello che viene chiamato rischio di reiterazione del reato».

 

Che cosa manca in Italia, dal punto di vista dell'impianto normativo, affinché persone come Elena non siano costrette a chiedere aiuto?

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«Innanzitutto la conoscenza di ciò che è stato conquistato fino ad ora. Quasi nessuno sa della possibilità di fare gratuitamente il testamento biologico, diritto acquisito con l'approvazione della legge, nel 2017. Oppure dell'opportunità di interrompere le cure senza soffrire o di accedere all'aiuto alla morte volontaria per le persone che siano tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale. L'Italia non è la più arretrata in Europa. Ma alcune cose importanti devono essere ancora fatte».

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Per esempio?

«In primis, quello che volevamo ottenere con il referendum: la piena legalizzazione dell'eutanasia, il che vuol dire eliminare discriminazione tra malati. La seconda è che il medico possa intervenire direttamente senza incorrere in un reato, punibile fino a 15 anni».

 

Per colmare questo «gap» chi pensate possa essere il vostro interlocutore politico, dopo il 25 settembre?

«Premesso che le abbiamo provate tutte: la legge di iniziativa popolare nove anni fa, il referendum bocciato dalla Corte Costituzionale. Poi il silenzio da parte del Parlamento, sollecitato più e più volte. Nessuno dei grandi partiti ha speso una parola. Per cui, direi che a oggi non ci sono elementi per pensare di poter affidare a qualcuno questa battaglia. E la mia disobbedienza civile vuol dire proprio che non siamo qui ad aspettare che qualcuno di loro la faccia».

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Per incidere di più dovreste candidarvi alle prossime elezioni? E, allora, perché non lo fate?

«Abbiamo chiesto a Mario Draghi che si consenta anche a chi non è in Parlamento di presentarsi alle elezioni con la raccolta firme, anche digitali. Se solo Draghi riuscisse a realizzare questa cosa, non prevista nel Rosatellum, potrebbe cambiare davvero il dibattito in questo Paese».