DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
1. BUONA NOTIZIA: I ROBOT CI RUBANO IL LAVORO
Vittorio Sabadin per “la Stampa”
i robot saranno in grado di farsi amare
Nei prossimi 10 anni, 10 milioni di posti di lavoro verranno persi in Gran Bretagna perché a svolgerli non saranno più esseri umani, ma robot. In un Paese che ha 30 milioni di persone occupate sembra a prima vista una brutta notizia, ma non è così.
Il rapporto sui riflessi della tecnologia sui posti di lavoro è stato stilato dall’Università di Oxford e da Deloitte, la prima azienda di servizi di consulenza nel mondo. Il dossier è finito sul tavolo del primo ministro a Downing Street, spingendo il governo a riflettere seriamente sulla necessità di indirizzare i giovani a scegliere il giusto percorso di studi per i lavori completamente nuovi che si creeranno in futuro al posto di quelli che saranno fatti dalle macchine.
I vecchi lavori più a rischio sono quelli oggi pagati peggio, che danno un reddito inferiore alle 30 mila sterline (38 mila euro) annue. I posti più sicuri sono quelli retribuiti oltre le 100 mila sterline, quelli cioè che richiedono competenze creative e specializzate: le macchine non replicano ancora il pensiero umano, anche se sono molto più vicine a farlo di quanto si creda.
il robot che deve cercare l aereo malaysia airlines scomparso
Secondo il rapporto, che ha preso in esame tutta la Gran Bretagna, ma si è focalizzato di più sulla città di Londra, a essere cancellati saranno i lavori più ripetitivi: chi lavora nei trasporti, nelle costruzioni, alle vendite, nelle amministrazioni, nelle miniere e nel settore dell’energia lascerà il suo posto alle macchine nei prossimi anni.
Chi è impiegato nella progettazione e gestione dei computer, nella scienza, nell’arte, nei media, nella legge, nell’educazione, nella sanità e nella finanza ha molte più probabilità di mantenerlo. I ricercatori si sono stupiti nel verificare con quanta rapidità molti lavori siano recentemente scomparsi: dal 2001, il 65% dei bibliotecari è sparito e lo stesso è accaduto a molte altre categorie di lavoratori.
robot sentinella che rivela armi
Ma non bisogna considerarlo un fenomeno negativo. Tim Worstall, di «Forbes», ha accolto il rapporto con grande entusiasmo: «Due secoli fa - osserva - l’80% delle persone lavorava in agricoltura. Questi posti di lavoro sono andati persi, ma se ne sono creati ancora di più in settori completamente nuovi. Ha ancora senso impiegare esseri umani per scavare buche nelle strade, piantare patate o mietere il grano? Meglio fare cose più interessanti».
La ricerca servirà a orientare il governo inglese su decisioni importanti. Se molti lavori non ci saranno più fra 10 o 20 anni è essenziale che chi sceglie oggi un percorso scolastico conosca la situazione che troverà quando l’avrà concluso. I vecchi posti di lavoro perduti saranno sostituiti da nuovi: se molti oggetti saranno costruiti da macchine con le stampanti in 3D, è inutile imparare oggi a realizzarli. Meglio specializzarsi nel printer design, nell’engineering delle macchine 3D e nella loro manutenzione.
E soprattutto, conclude il rapporto, i ragazzi che vanno oggi a scuola dovranno essere pronti a una vita professionale fatta di molte carriere, perché la realtà del mondo del lavoro cambierà sempre più in fretta e vincerà chi riuscirà ad adattarsi per primo. Come è sempre avvenuto nella storia della Terra, prima della breve e illusoria era del posto fisso.
2. IL MESTIERE DEL FUTURO? RISOLVERE I PROBLEMI
Walter Passerini per “la Stampa”
Denunce e allarmi sul nostro futuro hanno il pregio di fare riflettere su quanto esso sia aperto, sempre, a una doppia possibilità: rassegnarsi o reagire. Non sfugge a questa regola il catastrofismo millenarista in parte evocato dallo studio Deloitte - Università di Oxford, che contiene ambiguità che tocca a noi sciogliere.
La previsione di dieci milioni di posti di lavoro bruciati dall’avvento dei robot e delle tecnologie in Gran Bretagna nei prossimi anni può gettarci nello sconforto oppure risvegliarci. Alcuni ricorreranno al solito alibi della diversità («Siamo diversi, la mattanza digitale non ci toccherà»); altri nasconderanno le nostre arretratezze con le litanie sulle nostre eccellenze.
L’avvento di robot, computer, macchine intelligenti ha sempre destato fascino, attrazione e paure. Ricordiamo la preveggenza di Ray Bradbury con le sue «Cronache marziane» (1950) e «Fahrenheit 451», fiero oppositore sino alla fine dei suoi 91 anni degli e-book, tanto da impedire che le sue opere venissero pubblicate in formato digitale. Oppure «Robbie», il racconto di fantascienza di Isaac Asimov (1940), il primo in assoluto sui robot positronici: Asimov cercava di reagire alle storie dei robot come sola minaccia, assegnando agli automi la funzione di strumenti utili e flessibili, amici degli esseri umani.
Letta con più attenzione, la ricerca aiuta a sdrammatizzare il cambiamento in corso. A fare le spese dell’invasione di robot, androidi e cyborg saranno soprattutto i lavoratori esecutivi e generici, le cui prestazioni semplici e fortemente standardizzate potranno essere sostituite dalle macchine. Si salveranno coloro che avranno la possibilità di fare tesoro delle competenze, della creatività e della capacità di problem solving: di costoro ci sarà sempre bisogno, perché saranno le vestali del progetto a governare le danze.
L’intelligenza dell’uomo, nel gestire l’imprevisto e l’imprevedibile, sarà il carburante di una nuova forza lavoro, che abiterà nella parte alta della clessidra del mercato del lavoro; dopo la strozzatura, nella parte bassa si aggireranno i rappresentanti di una nuova sottoclasse di lavoratori, esperti nell’arte di arrangiarsi e senza troppe ambizioni. Ma la ricerca indica anche nella scuola e nella formazione l’arma vincente del futuro.
Così, per ogni posto bruciato dai computer se ne creerà almeno un altro nella nuova economia. La condizione è che da qui possa partire una nuova cultura tecnologica, basata sul modello «Stem» (Scienza, tecnologia, engineering e matematica). Il paradosso dell’economia italiana è che di fronte al boom di nuovi posti mancheranno i candidati, come dicono recenti ricerche. E a esserne coinvolta sarà l’intera Europa, alla quale oggi mancano oltre un milione di esperti digitali.
La tecnologia corre ma le competenze non riescono a tenere il passo: l’Italia è al quattordicesimo posto in Europa. Siamo leader al mondo nella produzione di automazione, che esportiamo all’estero all’80%, ma la scuola non regge la corsa con l’impresa intelligente. Ci sono sei computer ogni 100 studenti, la media europea è 16. Gli studenti di istituti scolastici dotati di tecnologie di alto profilo e banda larga sono il 6% contro una media europea del 37%.
Nella stragrande maggioranza dei casi le scuole italiane sono vittime del «digital divide». C’è qualcuno che pensa che proprio grazie alla nostra arretratezza ce la sfangheremo. La realtà è che la grande mattanza delle tecnologie non lascia alcun riparo. Ce la faremo solo se per ogni posto perduto riusciremo a crearne un altro, foderato da impeccabili competenze digitali.
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