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Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano” -stralcio
I fumi di una cucina, i fumogeni di uno stadio: "Quando arrivò l' epoca del servizio militare ero già indipendente da un pezzo. Guadagnavo, mi facevo i fatti miei e l' idea di regalare un anno allo Stato marciando con gli Alpini non mi andava proprio giù: 'A me farebbe piacere' mi diceva mio padre. 'Ci saranno tutti i tuoi amici' aggiungeva mia madre.
Li delusi e scesi a Roma, arruolandomi in Polizia, un corpo amministrativo e non militare che mi consentiva di non mettermi le stellette e nel quale pur essendo cuoco, avrei avuto la certezza di non essere sbattuto nuovamente in cucina. Da piccolo sognavo la divisa e la divisa ebbi. Finii a fare ordine pubblico fuori dallo stadio Olimpico, con lo scudo e il manganello, tra una perquisizione e una carica in cui non sentendomi cuor di leone provavo a tenermi fuori dal centro della scena. Avevo scelto la Polizia perché volevo vedere com' era il mondo fuori. Capii abbastanza in fretta che quello non era il mio futuro".
Tra meno di una settimana, Carlo Cracco, compirà 51 anni. Cuoco, ristoratore, scrittore dai titoli barocchi (Dire, fare, brasare, o anche Se vuoi fare il figo usa lo scalogno), padre di 4 figli, stella televisiva. Giudice in competizione con altri giudici tra i fornelli Sky di Masterchef e giudice unico senza l' ausilio di giurie, televoti o pareri del pubblico tra le velleità da chef di altissimo livello in Hell's Kitchen (Sky Uno Hd, 4 ottobre, ore 21.15).
Sui loro destini, decide solo Cracco: "E non è difficile essere duri perché in Hell' s Kitchen non ho a che fare con i dilettanti, ma con chi è già un professionista, ha un ruolo nella ristorazione e si propone di fare un salto nell' olimpo dei cuochi. La cucina, come suggerisce il titolo, può diventare un inferno oppure un paradiso dai molti elementi che per essere governati hanno bisogno di un tocco magico, diabolico, quasi da stregone.
In verità i concorrenti sanno benissimo da soli quando sbagliano. A volte gli va male, altre bene. In alcune occasioni sono indulgente con loro, in altre durissimo. È capitato anche a me. All' inizio, quando ero solo un aiutante, sono stato maltrattato e umiliato, ma forse passare attraverso un' iniziazione rude è l' unica maniera per crescere davvero. Ti sveglia, ti scuote, ti fa vincere la timidezza".
Prima dei locali, delle stelle, delle forchette, delle copertine, dei premi e della fama internazionale c' era la provincia. Il padre ferroviere, la madre casalinga: "Che faceva 3 o 4 lavoretti per arrotondare". Gli orari stretti: "A casa - cascasse il mondo - cenavamo tutti insieme alla stessa ora".
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Dell' adorazione televisiva, assicura, sente di poter fare a meno: "Non vivo per stare nel tubo catodico e non dico sì a qualunque programma. So che tutto potrebbe scomparire, ma sono fatalista: se una cosa deve finire, senza tanti discorsi, finisce. Io ho e faccio un altro mestiere. Ciò non toglie che andare in tv mi diverta e che nel mio lavoro non necessariamente chi è considerato il numero uno in un' immaginaria classifica sia davvero migliore dell' ipotetico numero 7. È una professione in cui anche se hai fatto tante cose, non hai fatto ancora niente ed è un lavoro in cui devi essere sorretto dalla convinzione che il meglio debba ancora venire".
Che i grandi cuochi in fondo si odino tutti, Cracco non lo nega: "Che ci siano invidie e gelosie feroci è naturale", ma ricorda che condividere la fatica: "Con una squadra di 30 persone aiuta a mettere da parte l' ego e a stare con gli occhi aperti sui talenti. Non sempre sono subito visibili e anzi molto spesso escono alla distanza. Non è raro trovare un giovane più bravo di te e devi saper accettare che qualcuno ti rubi la trovata e la metta in pratica meglio di quanto non abbia saputo fare tu".
In Italia "almeno in cucina" - nota Cracco - non abbiamo fatto passi da gambero: "Dagli anni 80 a oggi - e lo dico in positivo - sembra trascorso un secolo. Siamo passati dalle pennette alla vodka, dalle tagliatelle panna, prosciutto e piselli, dal ragù con la panna o dal terrificante risotto fragole e champagne che qualcuno ancora si ostina a propinare, alla riscoperta di una grande cucina regionale.
Dai favolosi 80 in cui l' eccesso, in una cucina unta e ignorante perfettamente speculare al periodo, era la regola, ai piatti di Marchesi in cui i grassi erano banditi perché - si intuiva - la festa era finita in tutti i sensi".
Negli anni della Prima Repubblica, Cracco era all' estero: "In Francia, con l' obiettivo di diventare bravo".
Gli è stato riconosciuto e a lui sembra incredibile: "C' è stata un' epoca in cui se dicevi 'voglio diventare un cuoco' ti guardavano come un matto. 'Ma chi te lo fa fare?
Guadagni poco e fatichi tanto'". La tv ha cambiato l' orizzonte: "E all' improvviso il mestiere di cuoco ha smesso di essere considerato un lavoro sfigato".
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2. IN ATTESA DI UNO CHEF-MESSIA VIVIAMO NELLA CUCINA INFERNALE
Francesco Borgonovo per La Verità - www.laverita.info
I pochi fedeli raccolti nella chiesetta buia, quando il portone si spalanca, sono scossi da un tremito. Avvertono una presenza, ne sono terrificati.
Del resto, quella che avanza tra i banchi è una divinità infera, spietata, a cui bisogna prostrarsi e offrire sacrifici umani. Non c' è più Dio, in quella chiesa. C' è solo Carlo Cracco, il dio profano dei fornelli. In elegante abito scuro prende posto e comunica ai presenti il suo comandamento: guardare la nuova stagione di Hell' s Kitchen, in partenza il 4 ottobre su Sky.
Quello che abbiamo appena descritto è il riuscitissimo filmato di presentazione del programma. Nel suo gioco di equilibri tra sacro e profano, spiega perfettamente il ruolo che oggi gli chef e il cibo ricoprono nel nostro immaginario e non solo. A tutti gli effetti, si tratta di un religione.
«Oggi il baricentro della religione si è spostato dall'anima al corpo», spiega Marino Niola, antropologo straordinario e autore di un saggio meraviglioso intitolato Homo Dieteticus (pubblicato da Il Mulino).
«Della religione, però, è rimasta la tensione verso il superamento dei limiti umani. Una ascesi che non serve per avvicinarsi a Dio, che non ha nulla di trascendente. È un' ascesi per Io, non per Dio. In una battuta: la dietetica è diventata l' etica del nostro tempo».
Ecco allora che Carlo Cracco, lo chef implacabile, Signore e Padrone della «cucina infernale», viene presentato con tratti divini. Anche se, appunto, si tratta di un dio tutto terreno e non particolarmente amorevole. Non a caso, come chiarisce Niola, nei cooking show che oggi vanno per la maggiore «c' è anche la dimensione della punizione, della mortificazione. In Hell's Kit chen e in MasterChef vediamo spesso l' autoumiliazione dei concorrenti, che è proprio della dimensione religiosa».
Che gli chef siano i venerati profeti di questa nuova religione del cibo, è evidente già da un po'. «La nostra è una società in cerca di profeti», dice Niola. «Finite le grandi narrazioni, la religione è ridotta a una sorta di wellness. Egli chef sono profeti, esattamente come erano un po' profeti gli stilisti degli anni 80. Allora c' era il fashion, oggi tutto si è spostato sul cibo, perché il cibo riguarda direttamente la salute e la longevità, che sono i veri grandi valori di oggi. Possiamo dire questo: siamo in attesa che venga un masterchef a salvarci ma nel frattempo viviamo tutti in una cucina da incubo».
Un incubo reso più cupo dal fatto che la sovraesposizione del cibo non è esattamente salutare. Ha qualcosa di bulimico. «Ma è anche un' attenzione di segno opposto, che ha qualcosa di anoressico. O di ortoressico», spiega Niola. «L' ortoressia, cioè la sindrome dell' appetito corretto, sta diventando un' epidemia in certi Paesi. Negli Stati Uniti è una delle prime cause di divorzio».
Difatti abbiamo visto parecchie celebrità litigare sull' alimentazione dei figli. Nel film Hungry Hearts di Saverio Costanzo una coppia si sfascia poiché la moglie vegana arriva ad affamare il figlioletto, arrivando a un conflitto esplosivo col marito.
C' è la religione, e ci sono le sette. Quella dei vegani è piuttosto fanatica. «Esistono addirittura i Vegan sexual», racconta Niola, «che non fanno sesso con partner onnivori per paura della contaminazione. Siamo in uno scenario che ricorda le sette del primo cristianesimo, che praticavano una assoluta endogamia e mangiavano solo il loro cibo. Molti di loro, non a caso, erano crudisti».
Il «crudismo» è un' altra delle fissazioni contemporanee, e si manifesta in particolare nei ristoranti raw vegan, che servono - in estrema sintesi - solo verdure e poco cotte (quando va bene).
«Molti crudisti sono anche scalzisti», aggiunge Niola. « Girano scalzi. È una sorta di nostalgia della natura, che non a caso nasce nei Paesi dove la civiltà e la tecnologia hanno raggiunto i livelli più avanzati. Siamo davanti a una specie di rigurgito della civilizzazione».
Tutto questo, va senza dirlo, non giova molto alla nostra salute. Vediamo tanto cibo in tivù, ma nella vita reale spesso ce ne priviamo, per timore di ingrassare.
«Se divento grasso perdo performatività ed efficienza. Per questo medicalizziamo il cibo, lo leghiamo alla salute e alla longevità, appunto. Il risultato, per molti, è vivere da malati anche quando si è sani. L' Homo dieteticus di cui parlo», conclude Niola, «è il figlio spaventato dell' Homo oeconomicus, cioè quello che pensava di avere il futuro ai suoi piedi, quello che vedeva il progresso infinito. L' opposto di quello che pensiamo noi oggi. L' Homo dieteticus investe tutto sul corpo, ne fa il suo bene rifugio e così si isola dagli altri. La nostra vera malattia, infatti, è la solitudine».
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