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Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
Il nuovo mostro di Firenze, quello che violenta e sevizia le prostitute, ha «la faccia da bonaccione distinto», come dice una delle sue vittime, ma sa trasformarsi in «uno dallo sguardo strano e perverso», come racconta un'altra delle donne finite nelle sue mani. I verbali delle sopravvissute sembrano la fotocopia l'uno dell'altro per le modalità e la brutalità delle aggressioni. E rivelano quanto lui si sentisse impunito.
Tanto da rispondere al cellulare che aveva rubato a una di loro. Lei era finita in ospedale, un suo amico continuava a chiamarla senza avere risposta finché all'ennesimo squillo lo stupratore rapinatore si palesò con il suo accento fiorentino. «Dov'è P.?», gli chiese l'amico della prostituta. E lui: «A me non me ne frega niente, fino a che dura la carica rispondo, poi non rispondo più».
Le carte che adesso la procura di Firenze ha raccolto in un unico fascicolo descrivono le fasi delle aggressioni con le parole di chi le ha subite: «Io urlavo ma lui continuava imperterrito. L'ho implorato di smettere, ricordo di avergli detto "basta, mi fai male" ma lui ha risposto "abbiamo quasi finito". Ho pensato che odiasse le donne per qualche torto subito da un'altra prostituta. Alla fine mi ha detto "ci rivediamo" e se n'è andato lasciandomi nuda e legata alla transenna».
Era una minaccia quel «ci rivediamo» ed era il suo modo di dire «lo farò ancora». I carabinieri l'avevano capito fin troppo bene almeno tre mesi fa, quando dal Ris di Roma arrivarono le conferme: in almeno tre casi il Dna apparteneva alla stessa persona.
C'è un capitano donna, in questa storia, che si chiama Claudia Mesina e che comanda la compagnia dei carabinieri di Signa, uno dei territori scelti dal violentatore.
Già alla fine di febbraio la comandante parlò con i suoi superiori e con il capo del nucleo investigativo di Firenze, Carmine Rosciano: «Qui abbiamo uno stupratore seriale, dobbiamo prenderlo per forza», promise a se stessa e a loro. Da allora non c'è stata notte che non abbia organizzato servizi lungo le vie battute dalle prostitute. «Sono andata io stessa molte volte a parlare con loro.
Con una donna si lasciano andare ed aiutare un po' di più, ho spiegato a tutte che non eravamo in servizio antiprostituzione, che eravamo lì per proteggerle. Le ho pregate di stare attente, di tenersi in contatto con noi, di organizzarsi... Quando ho saputo della ragazza morta mi si è stretto il cuore, ne sono rimasta molto colpita».
Andrea Cristina, romena di 26 anni, l'hanno trovata nuda, crocifissa a una sbarra sotto i piloni dell'autostrada, abbandonata a morire dopo le sofferenze di uno stupro particolarmente violento (l'autopsia ha svelato ieri che è morta per una emorragia interna).
Sua madre e sua sorella, che vivono nel Sannio, hanno saputo della sua morte dalla televisione e ora vorrebbero che lei fosse seppellita lì: «Non è giusto morire così», ripetono. «So che abbiamo fatto tutto quello che si poteva fare - dice il capitano Mesina - eppure mi sono sentita addosso la responsabilità per non averla potuta salvare, ho immaginato il suo dolore. Noi stavamo veramente lavorando moltissimo sulle violenze seriali, sapevamo che il violentatore non si sarebbe fermato con lo stupro di febbraio».
Il 21 di quel mese il nuovo mostro di Firenze mise un'altra preda fra i suoi «trofei» e la comandante aumentò l'impegno, le energie umane e professionali nella caccia all'uomo. Lei, la vittima, è rimasta così traumatizzata che quella stessa sera ha deciso di chiudere con le notti sulla strada. Un piccolo risultato che può valere una vita finché quell'uomo è ancora libero. «Lo prenderemo», giura la comandante Mesina. «Dobbiamo salvare la prossima vittima, non può arrivare prima, non deve farla franca».
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