DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Estratto dell'articolo di Silvia Senette per www.corriere.it
«Questa baita non è un albergo». Il mantra che ha tormentato generazioni di adolescenti potrebbe presto comparire all'ingresso dei rifugi di montagna, costretti a confrontarsi ogni giorno con le richieste sempre più "patinate" di avventori esigenti […]
«Spesso ci viene chiesto il caffè d'orzo piuttosto che il decaffeinato, ma noi abbiamo solo la classica moka, non la macchinetta da bar», spiegano Andrea Minotti e Martina Bordignon al Rifugio Oltradige, a 1.800 metri sul Monte Roen della Mendola. «Chiedono stanze singole perché nessuno vuole più stare nelle camerate già da prima della pandemia - aggiunge Harald Gasser, gestore del Rifugio Bolzano sullo Sciliar -. Oppure si aspettano la wifi in quota […]».
«Ci chiedono cocktail, pesce o gelato, senza considerare che qui l'approvvigionamento arriva in elicottero. Ma è colpa nostra: abbiamo abituato le persone a trovare tutto nei rifugi e molti sono diventati alberghi e ristoranti in alta quota».
La posizione del Cai
Una linea appoggiata dal presidente nazionale del Cai che, proprio nei giorni scorsi, tuonava: «Basta rifugi hotel». Antonio Montani sottolinea che soprattutto «i giovani vanno educati al valore della montagna». Il Cai è il più grande dei club alpini in quanto a proprietà di rifugi e oggi pone una riflessione. «Le strutture che una volta erano rifugi, e oggi non si possono più definire tali, rincorrono le esigenze del turismo di massa - denuncia il presidente -. Noi crediamo che questa tendenza debba essere invertita e che si debba fermare questo approccio. Basta con i rifugi trasformati in hotel».
[…] Duilio Boninsegna, gestore del rifugio Pradidali di Tonadico, a 2.278 metri di quota sulle Pale di San Martino. «Negli anni '90 alla doccia nemmeno ci pensavano. Ora, invece, in molti la pretendono, pur consapevoli di quanto l'acqua scarseggi». Davanti al diniego, riferisce il gestore al Dolomiti, la prima soluzione dei turisti è quella di mettere mano al portafogli. «Vengono qui pensando di essere in albergo e pronti a pagare un extra, non capendo quale sia il problema. Lo scorso anno, a luglio, eravamo già senz'acqua; non possiamo sprecarla».
Daniela Formenti, che da dieci anni a Sega di Ala gestisce Malga Cime con il marito, conferma che «sono cambiate davvero tante cose. Si parte dalle lamentele perché proponiamo solo uno o due secondi fino alla richiesta di poter organizzare feste con musica a tutto volume - racconta la donna -. Ci hanno chiesto spillatrici di birra e casse stereo nei prati della malga». Viene messa in discussione l'intera offerta. «[…] si lamentano perché vorrebbero trovare più varietà o proposte vegane».
[…]
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