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PORTOGHESI, L’ARCHITETTO DELLA STORIA…
Pierluigi Panza per https://fattoadarte.corriere.it
Ho incontrato l’ultima volta Paolo Portoghesi un anno fa quando, insieme a Franco Purini, gli è stato conferito il Prix Piranesi alla carriera dall’Accademia adrianea. Eravamo nella Casa dell’Architettura di Roma, la sua casa sebbene meno di quella del borgo medioevale di Calcata dove viveva da decenni con la moglie, architetto, Giovanna Massobrio, una casa con quella musicalità, quella preziosa biblioteca e quei suoi magnifici giardini pieni di animali e abbelliti da piante secolari.
Quello di Portoghesi è stato un viaggio interminabile verso ciò che il passato poteva alimentare. La sua idea di architettura era di un modello cosmico, anche se si trattava di una semplice casa. La storia lo ha guidato nel coraggio di voler andare sempre aventi nella memoria. Il suo è stato un viaggio verso ciò che il passato poteva dare, un modo per portare il passato nel futuro. Una lotta per il passato che l’architettura realizzata rende riflesso nella comunità vi abita.
Leon Battista Alberti, Guarino Guarini, Victor Horta, Gardella, Michelucci, Aldo Rossi… ma anche Rilke e Holderlin, Corelli e Beethoven… architetti, poeti e musicisti hanno riempito l’agenda delle sue giornate e delle sue lezioni sin da quando fu preside alla Facoltà di Architettura di Milano. Così come l’architetto veneziano Giovan Battista Piranesi ha dialogato a lungo con Borromini per il progetto dell'abside del Laterano, analogamente Portoghesi aveva dialogato con entrambi.
Portoghesi era nato in una casa di Borromini, Palazzo Nari di via Monterone, che sfocia in piazza dei Caprettari davanti a Sant’Eustachio, dove era stato battezzato. Di lì si vede la cupola di Sant’Ivo che si libera dalle gabbie tortuose dell’urbanistica capitolina, si libera da Palazzo Maccarani e si svolge come un fuso nel cielo. Indicando questa come modello, al pari di Borromini e Piranesi Portoghesi rivelava come il tema dell’ossessione – le spire della conchiglia come ossessione - costituisse gran parte della verità in architettura. L’architettura come distopia, orizzonte di riferimento per far sì che possa rispondere ai bisogni stagione dopo stagione.
Lucido fino alla fine, Portoghesi stava scrivendo un libro sulla bellezza. Docente, progettista di fama, teorico, tra i suoi tantissimi lavori figura la Casa Papanice sulla quale sono stati lanciati vari allarmi e la Chiesa della Sacra Famiglia di Salerno. Nella moschea di Roma ha fatto coincidere il sogno con l'idea stessa di un'architettura realizzabile.
Superata l’idea materialistica della storia, Portoghesi si prese a modello Robespierre, il quale raccontava come la Rivoluzione francese fosse stata un modo per riportare in vita l’antica Roma. Dissodando come un minatore l’intero percorso della storia, nel 1971, al Politecnico di Milano, si servì del metodo dialettico di Benjamin nelle lezioni di storia e sperimentò, anziché la cronologia, un sistema genealogico basato sulle vite parallele: Borromini con Frank Lloyd Wright, Mies van der Rohe insieme al tempio greco, Louis Khan insieme al classicismo settecentesco, gotico e architettura del ferro... Il metodo di Portoghesi, però, non è fu Palladio in Alva Aalto ma Alvar Aalto in Palladio, dall’oggi allo ieri.
La genealogia è un compito dell’uomo moderno ed un modo attraverso il quale lo storico diventa anche politico poiché disvela un piano operativo dell’arte. La modernità è sempre un processo di ribellione e la storia nasconde sempre risvolti che si trovano “con il balzo di tigre” citato da Benjamin. La genealogia non è cronologia e costringe alla oscillazione tra i campi. L’Angelo della storia di Benjamin è qualcosa di più tangibile attraverso l'architettura, qualcosa che rimane tra noi per un po' di tempo.
L’Angelus Novus di Klee pare allontanarsi da qualcosa, ha gli occhi spalancati cammina in avanti, fuggendo dalla storia in cui non vede una successione di eventi di rischiaramento ma una catastrofica rovina. Vorrebbe trattenersi e resuscitare i morti di quella rovina, ma un forte vento non gli permette di chiudere le ali. E deve avanzare. E questa tempesta lo spinge verso il futuro, verso quello che chiamiamo progresso, ciò da cui ci avviciniamo involontariamente perché memoria e amore convivono e chi non ha memoria non ama.
In tanti anni di carriera, con una personalità poliedrica, Portoghesi ha svolto impegni che hanno spaziato dal lavoro storico-critico alla progettazione, dall'insegnamento universitario alle cariche istituzionali come nel 1979 direttore architettura della Biennale di Venezia della quale poi è stato presidente dal 1983 al 1993.
Paolo Federici e Paolo Portoghesi
“La strada novissima” presentata alla Prima Biennale di Architettura del 1980 intitolata La Presenza del Passato fu una esperienza collettiva da lui orchestrata e rispondeva alla volontà di proporre una riflessione sul tema della strada urbana attraverso un percorso di 70 metri, dieci facciate di case per lato, a grandezza naturale, progettate da Frank O. Gehry, Rem Koolhaas, Hans Hollein, Franco Purini, Arata Isozaki, Robert Venturi, Ricardo Bofill, GRAU. Seguì il Postmodern che ci liberò dal Movimento Moderno più engagé.
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