
DAGOREPORT - A 53 GIORNI DAL RINNOVO DELLA GOVERNANCE DI GENERALI, A CHE PUNTO È IL RISIKO…
1. RIINA E IL GIALLO DELLE CARTE DI DALLA CHIESA
Virginia Piccolillo per "il Corriere della Sera"
«Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti». Nella storia della mafia raccontata al compagno di ora d’aria, Totò Riina, non dimentica il capitolo del mistero delle carte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: assassinato a colpi di kalashnikov esattamente 32 anni fa, il 3 settembre 1982 a Palermo.
L’enigma della cassaforte di villa Pajno, sua residenza, ripulita subito dopo l’omicidio suo e di sua moglie Emanuela Setti Carraro. E della sua borsa, piena di documenti, sparita e riapparsa dopo 31 anni. Vuota.
All’attentissimo detenuto Alberto Lorusso, Riina lo racconta divertito: «Minchia il figlio faceva... il folle. Perché dice c’erano cose scritte. E loro gliel’hanno fatta. Minchia. Gliel’hanno aperta, gliel’hanno aperta la cassaforte... tutte cose gli hanno preso».
In attesa che i magistrati palermitani chiariscano se quelle chiacchiere da «ora d’aria» siano verità, depistaggi o messaggi, Nando Dalla Chiesa, il «figlio che faceva il folle» citato da Riina, commenta con semplicità: «È un po’ quello che abbiamo pensato anche noi. Ce lo dicevano le circostanze. Il personale di sorveglianza terrorizzato. La gente che era entrata in casa con la scusa di prendere le lenzuola per coprire i cadaveri. Mio zio che non venne fatto entrare in casa. I cassetti vuoti, in cui dopo una settimana ricomparve misteriosamente una chiave con su scritto cassaforte. Che, quando andammo ad aprirla, risultò vuota».
napolitano al festival di venezia
E rivela: «Giovanni Falcone, una volta mi chiese se avessi capito perché era stata uccisa anche Emanuela. Io risposi che avevo sempre pensato fosse stata assassinata perché in quel momento era vicina a mio padre. Ma lui mi disse: “No, fu uccisa perché in casa non doveva esserci nessuno”».
Ma perché Totò Riina, passeggiando per il cortile del carcere milanese di Opera torna ad aprire quella pagina oscura? E davvero lo fa senza pensare di poter essere intercettato? Una cosa colpisce. L’inciso che Riina fa, paragonando il mistero della cassaforte svuotata del prefetto antimafia, al proprio covo ripulito dopo il suo arresto. Appena un accenno per marcare la differenza e dire che lui di documenti non ne aveva proprio. «Li tenevo in testa», assicura Riina al compagno di passeggio che aveva chiesto: «Ma pure a Dalla Chiesa gli hanno portato i documenti dalla cassaforte?». Poi l’ironia sui documenti «fottuti» al generale.
Messaggi dal carcere inviati a chi rimase sempre nell’ombra? Nando Dalla Chiesa pensa di no: «Io non credo. Un messaggio indirizzato a chi? Ormai sono tutti morti: da Spadolini ad Andreotti, a Cossiga». Allora perché parlarne? «Evidentemente — spiega Dalla Chiesa — lui sa ciò che a noi è stato impedito di sapere.
Al maxiprocesso, venne chiesto al testimone che quel giorno era di guardia chi fosse entrato, subito dopo l’omicidio nella villa: girava una voce mai appurata che fosse stato Contrada. Ma subito dopo la domanda successe un parapiglia: un mafioso presente in aula cominciò a fingersi pazzo. L’udienza venne sospesa. Poi ci fu la pausa estiva. E alla ripresa non fu più possibile saperlo».
Intanto sono state rese note le motivazioni del tribunale di sorveglianza di Bologna che ha rigettato le istanze di Riina per il differimento pena per motivi di salute e per la detenzione domiciliare. Il tribunale ha ritenuto che non c’è alcun «vulnus alla tutela del diritto alla salute del condannato».
2. MISTERI, POLITICA E GOSSIP, L’ITALIA SECONDO TOTÒ RIINA
Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza per “Il Fatto Quotidiano”
Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte glieli hanno fottuti”. Nel giorno dell’anniversario dell’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il mistero della sua cassaforte torna nelle parole di Totò Riina, intercettate a Opera il 29 agosto 2013.
All’intercettazione del boss, ieri, è seguita la replica del figlio del generale, Nando dalla Chiesa: “Non c’era bisogno della conferma da parte di Riina. Noi parliamo della cassaforte di mio padre da 32 anni...”. Il capo dei capi, a modo suo, aveva parlato anche dell’agenda rossa di Paolo Borsellino: “Che aveva in quest’agenda? Minchia, l’hanno presa i servizi segreti”.
berlusconi marina fininvest cir esproprio crop display
Nei colloqui intercettati con Alberto Lorusso, in questi mesi, Riina ha passato in rassegna l’intera politica italiana, senza risparmiare nessuno. Renzi? “Questo di Firenze è forte... Questo disgraziato... è forte perché è giovane’’. Ma quando l’ex sindaco di Firenze si oppone all’amnistia, ecco che diventa “un carabiniere”. Grillo? “È malato di testa, ormai è impazzito”. Berlusconi? “Più che il partito Forza Italia dovrebbe fondare Forza culo perché è un disgraziato”.
Riina racconta la ‘sua’ Italia sproloquiando di garantismo e giustizialismo, di mafia e antimafia. Dalle 1350 pagine che raccolgono le sue conversazioni con Lorusso nel cortile del carcere di Opera, viene fuori il ritratto di un Paese da incubo: l’Italia che l’uomo delle stragi sbeffeggia con l’atteggiamento di chi si sente più furbo di tutti.
Alfano? “Vigliacco e traditore”. Al Guardasigilli che si vanta di aver arrestato 1700 mafiosi in un anno, il boss impartisce una lezione di antimafia: “Non si reprime una popolazione con la sbirraglia, ma con leggi buone umane, cristiane”. Fini? “Un miserabile e meschino”. E D’Alema? È il “baffetto” che “mangia e beve”... “il più disgraziato che c’è”. E non si capisce come mai “non dica al sindaco di Firenze di stare zitto”.
Nessuna simpatia? Sì, per Andreotti: “uno grande”, la Santanchè: “una forte”. E per Marina Berlusconi: “È una seria... i figli tutti quanti sono (seri, ndr), a parte Barbarella che si... i giocatori... Ha preso dal padre”.
E alludendo alla relazione della figlia minore di Berlusconi con il calciatore Pato: “Appena finisce di giocare al pallone lo prende e se lo porta in macchina e lo incoccia a cavalluccio... suo padre gli dice: montala e non scendere più. Lei l’ha messo ko... lei è più forte di suo padre...”. E giù risate.
Il senso (o meglio, il non-senso) di Riina per la politica è tutto qui: insulti, sberleffi, soprannomi ingiuriosi appiccicati anche al presidente della Repubblica, definito “berrettone”, che nel dialetto siciliano, spiega il boss, significa “colui che vuole fare tutte le cose”. Per il capo di Cosa Nostra, Napolitano è “il più Pulcinella di tutti”: “Gliel’hanno detto a lui... accetta altri sette anni... perché accetti? Lui... il Pulcinella di tutti i rappresentanti della Repubblica... il primo Pulcinella è lui... perché lui questa farsa l’ha fatta’’.
E a Lorusso che gli spiega come il vicepresidente del Csm Michele Vietti abbia manifestato un’aperta contrarietà alla testimonianza del capo dello Stato nel processo sulla trattativa, Riina replica: “Fanno bene, ci vuole una mazzata (per i pm, ndr)”. E poi: “Io penso che qualcosa si è rotto...”. Ma Riina non se la prende solo con i leader politici.
La sua rabbia, che ha come obiettivo principale il pm Nino Di Matteo, destinatario di ripetuti ordini di morte, è equamente distribuita tra magistrati, giornalisti e persino presidenti di società calcistiche. Ingroia? “È il re dei cornuti”, perché sostiene che Berlusconi è colluso con la mafia. Santoro? “Un comunista sfegatato”. Zamparini? “Un figlio di puttana”. Il meglio di sé, però, lo dà con i suoi giudizi sul ruolo del Papa (“Si deve fare i fatti suoi”) e sull’invadenza dei preti antimafia, che per lui meritano di finire ammazzati come padre Pino Puglisi: “Quello andava incuitannu (inquietando, disturbando, ndr) i cristiani pi diricci (per dir loro, ndr): sparatemi’’.
È il trionfo del qualunquismo criminale: l’Italia vista con la mente di uno stragista seriale che arriva persino a dare lezioni di morale, definendo Berlusconi “un mutannaro (mutandaro, ndr)”, un “porco, malato di minorenni, non è che gliene interessava una!”. Riina lo condanna deplorandone “il vizio, tutti, tutti i vizi” e finendo per autocommiserarsi: “Ahi, ahi, e noialtri qua, mischinelli di noialtri al 41, ristretti al 41!”.
Ma Riina, che si vanta di essere “potentoso” e di aver piegato le istituzioni con le stragi, non perdona soprattutto a Berlusconi di aver tradito le speranze che il popolo di Cosa Nostra riponeva nel trionfo di un garantismo capace di limitare la magistratura. Per il capo dei capi, Silvio è colpevole di non aver avviato la riforma della giustizia, quando aveva il 60 per cento dei consensi, quando cioè “aveva la corda nelle mani per affogarli tutti”. Dice Riina che “c’è tanta gente incarcerata senza malu fine (il riferimento è al “fine pena mai”, cioè all’ergastolo, ndr)”, e Berlusconi “non ha fatto niente: noi siamo qua e lui è là. È stato un gran sbirrone!”.
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