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Cesare Giuzzi per il “Corriere della Sera”
È nascosta nelle chat la verità sulla notte maledetta costata la vita a Domenico Maurantonio. Ne sono convinti gli investigatori che hanno sequestrato i cellulari di sei studenti del liceo scientifico Nievo di Padova che quella sera si trovavano al quinto piano dell’hotel Da Vinci di Milano, da dove Domenico è precipitato per venti metri. Messaggi scambiati via WhatsApp tra i ragazzi durante la notte della tragedia, ma anche nelle ore successive.
Gli inquirenti sono vicini a una svolta nelle indagini. L’accelerazione arriva a due settimane dalla morte del 19 enne. Quindici giorni di silenzi e testimonianze «lacunose e non convincenti» da parte dei compagni di classe di Domenico.
Ancora non ci sono iscritti nel registro degli indagati, il sequestro dei cellulari è stato motivato come un atto tecnico necessario ad acquisire informazioni sui fatti. Quale sia il titolo di reato con il quale il fascicolo è stato iscritto in Procura non è ancora chiaro.
gita scolastica tragedia hotel
Su questo elemento gli investigatori della Mobile, coordinati dal pm Claudio Gittardi, mantengono l’assoluto silenzio.
Gli inquirenti starebbero indagando per il reato di omicidio (volontario o colposo) ma anche in questo caso si tratta di un’iscrizione «tecnica» per consentire l’esecuzione di esami scientifici particolari (dai test tossicologici fino al Dna) e l’utilizzo di strumenti investigativi ad ampio raggio, come le intercettazioni telefoniche.
In realtà, il sospetto degli investigatori su quanto accaduto la notte del 10 maggio scorso è che si sia trattato non di «un evento doloso», ossia di un omicidio, piuttosto di un incidente legato a una bravata. Una notte alcolica tra gli studenti del Nievo culminata in una serie di «giochi», «scherzi» e «goliardate».
«Non ci sono dubbi sul fatto che quella notte alcuni studenti abbiano bevuto superalcolici», dicono gli investigatori. Bottiglie di liquori sono state sequestrate nelle stanze d’albergo dei liceali subito dopo la morte del ragazzo. L’altra certezza delle indagini è che Domenico Maurantonio era vivo fino all’alba di domenica: poco prima delle 5.30 dal suo cellulare sono partiti alcuni messaggi. Per questo la polizia fa risalire l’orario della sua morte proprio tra le 5.30 e le 7.30 (il cadavere è stato scoperto intorno alle 7.50).
Cos’è accaduto in quella fascia oraria? I ragazzi interrogati più volte (oggi a Padova verranno sentiti gli alunni di un’altra classe del Nievo presenti alla gita) avrebbero raccontato di non avere sentito alcun rumore anche perché tutti dormivano profondamente proprio a causa dell’alcol. Nei giorni scorsi, dopo una terza tornata di interrogatori, sarebbero però emersi «elementi utili alle indagini». Il muro di silenzio sta crollando? «È presto per dirlo».
Oggi in Procura a Milano ci sarà un vertice al quale parteciperanno anche i consulenti della famiglia Maurantonio e il legale Eraldo Stefani. La riunione servirà soprattutto a valutare i primi risultati dell’analisi delle chat scambiate tra i ragazzi e fissare gli orari chiave di quella nottata.
Per l’esito dei test tossicologici, compresa la relazione sul tasso alcolemico rilevato nel corpo di Domenico, bisognerà aspettare la fine della settimana. Altri dieci giorni serviranno per i risultati degli esami del Dna sui reperti trovati dalla scientifica sulla finestra dalla quale è caduto il liceale. Idem per le tracce di escrementi trovate nel corridoio dell’albergo.
Dopo l’appello del padre Bruno («Superato lo choc i compagni devono raccontare la verità») , ieri l’avvocato Stefani è tornato a chiedere un gesto di responsabilità da parte dei liceali. Gli studenti, secondo quanto ricostruito nel corso delle «indagini difensive», si sarebbero incontrati fuori dall’istituto, forse — questo il sospetto del legale — per concordare la loro versione su quanto accaduto quella notte.
Sulla tomba di Domenico, nel cimitero di Padova, accanto a un cuore di peluche e al disegno di una chiave di violino (la musica era la sua passione) è apparso un biglietto anonimo: «Dico no al bullismo». La famiglia non lo ha fatto rimuovere.
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