DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Francesco Salvatore per “la Repubblica - Edizione Roma”
Grazie alla divisa che indossavano si sentivano impuniti e pensavano di muoversi e trafficare senza essere controllati. E invece due carabinieri che erano in servizio all' ottavo reggimento Lazio, con sede nella caserma di Tor di Quinto, sono stati incastrati proprio in un' indagine condotta dai loro colleghi dell' Arma. Inchiodati ad un' accusa di spaccio, per aver ceduto tre dosi di cocaina a un acquirente al prezzo di 180 euro.
Ieri entrambi sono stati condannati a quattro anni di reclusione: si tratta di D. C. e M. N., 43 e 44 anni.
Il pubblico ministero Mario Pesci, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto due anni di pena mentre il giudice Emilia Conforti, dopo una camera di consiglio di più di un' ora, ha deciso per una condanna più esemplare.
La vicenda risale al novembre del 2011. E parte da un' indagine su un giro di droga della procura di Avezzano. Intercettando un gruppo di ragazzi abruzzesi dediti ad un piccolo traffico di stupefacenti nella zona della Marsica gli inquirenti si sono imbattuti anche nei due militari, uno dei quali originario proprio di quelle zone. Gli accertamenti, poi, hanno permesso di individuare l' attività anche nella capitale. E alla fine hanno portato a contestare un episodio specifico di cessione di cocaina ad un cliente da parte dei due imputati. Una quantità di tre dosi, ma comunque sufficiente per incriminarli.
Stando alla ricostruzione i due militari si incontravano " all' interno della struttura ove prestavano servizio. Qui in forma del tutto «riparata avevano modo di programmare e compiere i loro piani illeciti » . Entrambi si sentivano forti dello status da loro ricoperto. E pensavano di non essere scoperti. Il profilo di uno dei militari, nell' informativa finale agli atti del processo, è descritto come quello di una persona arrogante, che sapeva sfruttare il suo ruolo a proprio vantaggio: «Tale status gli permette di pianificare e svolgere con spavalderia lo spaccio di sostanze stupefacenti, sicuro che il suo stato di appartenenza lo metta al riparo da eventuali controlli da parte dei colleghi». Le conversazioni tra i due, nello stesso atto, vengono definite « palesi » , e nelle stesse traspare « la presunzione di tranquillità derivante dal loro stato giuridico ».
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