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Antonio D’Orrico per “La Lettura – Il Corriere della Sera”
Il padre, invece di raccontargli le favole, gli cantava canzoni antiche e sensuali come Musica proibita («Vorrei baciar i tuoi capelli neri/ le labbra tue e gli occhi tuoi severi») o Tango del mare («Mare perché... questa notte mi inviti a sognar»). Era un elettricista il padre, era scampato a El Alamein, aveva fatto il partigiano e scriveva poesie d’amore per la moglie. Questa moglie, bellissima, era una campionessa di anaffettività (mai una carezza, mai un bacio, né per il marito né per il figlio). La parola «amore» non esisteva nel vocabolario della coppia se non nell’accezione «film d’amore».
maurizio maggiani IL ROMANZO DELLA NAZIONE
Da grande, Maurizio, il bambino che ascoltava il padre cantare Musica proibita, farà il romanziere e la cosa lascerà perplessi e diffidenti i genitori che non capiranno mai in cosa consista il mestiere del figlio e lo riterranno sempre un modo poco serio, poco rispettabile di guadagnarsi da vivere. Questo libro era nato per essere un tango di passioni trattenute, se non negate, e riscoperte postume (a rilascio ritardato, come si dice di certe medicine o di certi veleni), la storia autobiografica e famigliare di tre generazioni vissute in Val di Magra, ma uno sciagurato arrangiamento ha cercato volgerlo in inno nazionale (vedi il titolo). Ne è venuta fuori una sinfonietta stonata.
Maggiani è uno di quegli scrittori convinti ancora che basti digitare le password «Resistenza» e «Morte di Togliatti» per comporre il grande romanzo italiano. E sembra dimenticare che i grandi romanzi nazionali li ha scritti (musica e parole, e senza bisogno di Resistenza e morte di Togliatti) Giuseppe Verdi, uno che lui liquida come «un piccolo-borghese». Maggiani è, nel suo modo in apparenza umile, spocchioso. Lo è nella prosa, nella visione del mondo. E perfino nel modo in cui considera se stesso. Sostiene, per esempio, di somigliare fisicamente a Franz Kafka. E qui come direbbero nella Capitale della Nazione si sta allargando un po’ troppo.
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