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Massimiliano Nerozzi per il “Corriere della Sera” - Estratti
Dalla maxi inchiesta della Procura di Torino sulle agenzie di security, emerge il sospetto che ci fosse aria di spionaggio dentro al colosso dell’edilizia Kerakoll, almeno fino all’anno scorso:
«Qualche mese fa mia figlia Emilia mi avvisava di stare attenti, perché potevamo essere intercettati o controllati, da Remotti, ovvero il nostro amministratore delegato», fa mettere a verbale Romano Sghedoni, 85 anni, fondatore dell’azienda, sentito come persona informata sui fatti dai carabinieri e dal pm Gianfranco Colace, il 13 luglio 2022. Lui restò ovviamente basito: «Questa cosa l’ho ritenuta assurda».
Poi, quando gli investigatori gli fanno ascoltare un file audio con la sua voce, quasi sbianca: «Avendo appreso in questa sede che le mie conversazioni private sono state registrate, senza il mio consenso, chiedo la punizione del o dei colpevoli». Tra gli indagati (28 in tutta l’inchiesta) per averlo ascoltato illegalmente, ci sono anche due dei suoi figli, Emilia e Fabio, in concorso con l’ex maresciallo del Ros Riccardo Ravera, nome in codice «Arciere», uno di quelli che arrestò Totò Riina.
Romano Sghedoni tra i figli Emilia e Fabio
E che ha sempre negato qualsiasi accusa. Interrogato, racconta invece l’allora ad Andrea Remotti (indagato), in Kerakoll da 27 anni: «Nel corso del tempo ho assistito alla diatriba concernente la famiglia Sghedoni, con l’evento scatenante che può essere riconducibile a questioni di soldi e potere».
Gianluca, il terzo figlio del patron, «viene liquidato con una somma di 300 milioni di euro», ma il clima, si deduce, restò teso. Dirà Gianluca agli investigatori, come persona informata sui fatti, a proposito di operazioni delle agenzie di security: «Ero perplesso del fatto che un operatore dei servizi segreti — di cui aveva fatto parte Ravera, ndr — fosse coerentemente impiegabile per una vicenda del genere, ossia una vicenda di comportamenti inappropriati tra colleghi. A me sembrava di essere dentro un film».
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