matteo messina denaro

TUTTI GLI UOMINI DEL LATITANTE – MATTEO MESSINA DENARO HA COLTIVATO UNA RETE DI COMPLICITÀ TRASVERSALE, DAI CONTADINI ALLA RICCA BORGHESIA, CHE GLI HA CONSENTITO DI MUOVERSI A VOLTO SCOPERTO PER I COMUNI DEL TRAPANESE – I LEGAMI CON GLI IMPRENDITORI E QUELLI CON I POLITICI, COME ANTONINO D’ALÌ, CHE TRA L’ALTRO AVEVA ASSUNTO IL FRATELLO DI BOSS ALLA BANCA SICULA – NEL SUO COVO SONO STATI TROVATI SCONTRINI DI NEGOZI E DI RISTORANTI - IL SINDACO DI CAMPOBELLO DI MAZARA: “MI VERGOGNO…”

1. LE RELAZIONI PERICOLOSE DELLA BORGHESIA COSÌ TRAPANI SI È "STRUSCIATA" COL BOSS

Estratto dell'articolo di Antonio Fraschilla per “la Repubblica”

 

MATTEO MESSINA DENARO ENTRA NELLA CLINICA LA MADDALENA

Il palazzo in stile classico, uno dei pochi in questa città baroccheggiante, sembra disabitato.

Le imposte celesti sono chiuse, i due grandi portoni in legno massiccio serrati. E dire che questo è stato per anni il cuore del potere a Trapani: l'abitazione dell'ex senatore forzista e sottosegretario degli Interni Antonino D'Ali, condannato in via definitiva per concorso esterno per i rapporti con la famiglia dell'ormai ex latitante Matteo Messina Denaro. Poco distante da qui, nella centralissima Corso Italia aveva una filiale la Banca Sicula, negli anni d'oro della Trapani con più sportelli bancari d'Italia per abitante, tanti ne giravano di soldi in queste strade che arrivano tutte al mare.

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All'istituto bancario della Sicula, di proprietà della migliore classe imprenditoriale della città, famiglia D'Ali compresa, tra i suoi dirigenti c'era il fratello di Matteo Messina Denaro, il secondo figlio di "don" Ciccio. E in fondo a questa stessa via, salendo verso Erice, c'è il bar dell'ex socialista Franco Orlando, arrestato perché considerato uno dei reggenti della mafia guidata dal boss e per anni frequentatore assiduo del Palazzo comunale. Un triangolo di viuzze simbolo di una borghesia che a queste latitudini si è sempre strusciata con Messina Denaro, con i suoi uomini e anche con i volti segreti della massoneria in una città dove si dice ci siano più logge che quartieri, più cappucci che cappelli.

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Il palazzo D'Alì chiuso in una stradina che non ha più il viavai di una volta sembra l'immagine perfetta di una storia al capolinea, quella di una provincia "perbene", che ama il compasso, e che con Messina Denaro e il suo clan ci ha fatto affari, lo ha protetto e gli ha dato risorse da investire nella speranza di ricavarne ulteriori guadagni e quindi ulteriore prestigio sociale. «Borghesia mafiosa », l'ha definita il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, annunciando l'arresto del latitante. «Borghesia che qui in fondo è stata distrutta da questo legame, lasciando il territorio ancora più povero», dice il sindaco Giacomo Tranchida, seduto dietro la sua scrivania dai piedi dorati al Palazzo del Comune, a poche decine di metri da casa D'Ali.

 

Qui Matteo lo conoscevano in tanti: «La sua rete di relazioni è nata in questa provincia dove non esiste il racket perché il boss non ha mai voluto creare attenzioni e ha cercato sempre, ottenendolo, il consenso sociale. Il tutto mentre gli imprenditori di vari settori hanno trovato una sponda sicura in lui», dice il magistrato Massimo Russo, originario di Mazara del Vallo, altro centro pulsante del potere di Messina Denaro, e tra i primi a indagare dopo le stragi sul figlio di "don" Ciccio da Castelvetrano, campiere nei feudi D'Ali.

IDENTIKIT DI MATTEO MESSINA DENARO

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2. "U SICCU" LIBERO NEL SUO PAESE IL SINDACO: "ORA MI VERGOGNO"

Niccolò Zancan per “la Stampa”

 

Mica stava nascosto in un pozzo. «Chiofalo Auto», «Atelier Cremona», «Chiesa evangelica», «Acqua e sapone», «Distributore Ifc Petroli», «Supermercato Qui Risparmio». E negozi di frutta e verdura. Due bar, una gelateria. Il ristorante «La Zagara». «Sì, adesso, dopo l'arresto e le immagini comparse su tutte le televisioni, in molti ammettono di averlo visto qui intorno, in questa zona», dice sconsolato il comandante dei vigili urbani di Campobello di Mazara, Giuliano Panierino. Questa storia è un incubo. Perché o sapevi o non hai capito. Non c'è verso. Non esiste altra possibilità.

UN GIOVANISSIMO MATTEO MESSINA DENARO CON LA SUA FAMIGLIA E IL PADRE FRANCESCO

«Tutti quelli che mi hanno detto di averlo riconosciuto adesso, giurano di non aver mai sospettato prima che fosse lui».

 

[…] Sono state trovate diverse ricevute, pranzi e cene. Da almeno un anno il latitante più ricercato del mondo si muoveva per le strade di Campobello di Mazara, che sta a 10 chilometri da Castelvetrano, la città in cui è nato, il centro del suo potere criminale.

 

«Non l'ho mai visto», dice il benzinaio. «Non ci ho fatto caso», dice il residente dell'altra parte della strada.

«Io non sono stupita dell'arresto», dice la signora Vita Accardi, insegnante di educazione fisica in pensione.

 

MATTEO MESSINA DENARO

«Immaginavamo che potesse vivere qui intorno». Abitava sulla strada principale.

Usciva e tornava. Viveva in mezzo a dodicimila abitanti. «Per noi è una profonda vergogna quello che sta emergendo», dice il sindaco Giuseppe Castiglione.

«Prima l'autista, poi il prestanome, adesso il covo. Tutto qui. A Campobello di Mazara. Provo un'enorme amarezza».

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