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Fabio Poletti per "La Stampa"
Il destino li ha voluti far incontrare. Meno di un minuto sono stati insieme. Lui aveva un coltello e idee balorde in testa. Lei un paio di scarpe da ginnastica la tuta e il telefonino. «L'ho scelta perchè correva piano, perchè era sola, perchè aveva un cellulare con cui avrei chiesto un riscatto». Pensava a un improbabile sequestro di persona Nicola Garbino, 36 anni, ancora iscritto a Ingegneria, zero lavoro, nessun precedente, vita in famiglia a Zugliano di Pozzuolo del Friuli e la testa fulminata.
Lo hanno preso i carabinieri due giorni dopo grazie alla segnalazione di una passante, mentre ancora andava in giro con la sua mountain bike rossa vicino al parco. In uno zainetto il coltello e i suoi vestiti sporchi di sangue. Sulle braccia i graffi di Silvia Gobbato, la ventottenne che ha cercato di difendersi prima di arrendersi alle coltellate.
«Mi avete beccato» dice quando lo fermano. Prima di raccontare tutto di quell'omicidio senza senso, ricostruendolo in un sopralluogo tra il campo di mais e gli arbusti dove aveva lasciato la sua vittima, con i cani poliziotto come impazziti di fronte all'odore di quest'uomo. Odore di una morte senza senso.
«Silvia non aveva paura di niente e di nessuno» raccontano gli amici mentre accompagnano le preghiere del vescovo di Udine Andrea Bruno che ha voluto venire fino a qui, alla strada comunale Brionis dove vengono i runner come Silvia, chi va a passeggio col cane, i giardinieri che potano le piante e uno fuori di testa con un coltello che in un minuto si infila nella sliding door di una quasi avvocatessa dal futuro assicurato, interrotto per sempre dal caso che le ha fatto incontrare un quasi ingegnere con le rotelle fuori posto.
All'inizio i carabinieri pensavano che Nicola Garbino fosse in cura in un Centro di salute mentale. Tra quelli di Udine non risulta. Forse altrove. Ma come dice un investigatore «certo non aveva la testa a posto».
Sembra uno di quei delitti come capitano a Central Park, a Manhattan, dove si viene uccisi a ogni giro di orologio. E invece è solo Udine, la tranquilla Udine, la ricca Udine dove certe cose non sono mai successe. «Siamo di fronte a una società che uccide sè stessa» incassa il colpo il sindaco Furio Honsell.
La città potrebbe uscirne a pezzi. E fa niente se sul cancello del comando provinciale dei carabinieri qualcuno mette un cartello per ringraziare. Nè bastano le parole di rito dei vicini di Nicola Garbino, che dicono quello che si dice sempre: «Un ragazzo molto schivo, parlava molto poco».
Fra i tanti che tirano un sospiro di sollievo c'è chi non riesce a darsi pace. Giorgio Ortis, l'amico di Silvia, avvocato come lei, il ragazzo che corre più forte e la lascia indietro sullo sterrato, il primo ad essere indiziato, ci pensa appena al suo ruolo di mostro per un giorno. «Finalmente posso vivere il mio dolore senza pensare ad altro» dice tra le lacrime quando sa, al suo avvocato Rosi Toffano, mentre pure lei tira un sospiro di sollievo. Ma poi ci sono altri sentimenti. Il rimorso soprattutto.
«Adesso che so quello che è successo sono costretto a convivere con un senso di colpa gigantesco. Se non l'avessi lasciata indietro Silvia sarebbe ancora viva. Questa cosa mi tormenterà tutta la vita». I pensieri del giorno dopo di chiunque. Ma chi va a immaginare che sulla strada ci possa essere qualcuno che delira su un improbabile sequestro in bicicletta. Come se si trovasse in un brutto film a Central Park, Manhattan. E non tra le pannocchie del parco del Cormor, vicino a Udine, Friuli.
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