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LE UNIVERSITÀ SONO FATTE PER STUDIARE, NON PER PREGARE – È ARRIVATA LA DIFFIDA DEL QUESTORE DI TORINO PER BRAHIM BAYA, IL FINTO IMAM CON MANIE DI PROTAGONISMO CHE HA TRASFORMATO IL POLITECNICO DI TORINO IN UNA MOSCHEA – BAYA PASSA AL CONTRATTACCO E PARLA DELL’ITALIA COME DI UNA PAESE “ISLAMOFOBICO”, MA LA VERITÀ È CHE HANNO INIZIATO A FARSI SENTIRE GLI STUDENTI CHE SI SONO ROTTI LE PALLE DI NON POTERSI LAUREARE NELL’AULA MAGNA PER COLPA DI CINQUANTA MANIFESTANTI PRO-GAZA…

Estratto dell’articolo di Lodovico Poletto per “La Stampa”

 

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Nel venerdì della preghiera islamica, annunciata per le 13 al Politecnico di Torino, il signor Brahim Baya entra in questura quando manca poco a mezzogiorno.

Esattamente una settimana fa aveva tenuto il sermone nell'atrio di Palazzo Nuovo - sede storica delle facoltà umanistiche - occupato dai collettivi pro Palestina. Aveva parlato di jihad «ma non nel senso di guerra santa». Della resistenza palestinese.

Aveva trasformato - dicono - «uno spazio neutro» del tempio del «sapere laico» in luogo di preghiera. Con reazioni durissime (quando il video è stato diffuso, ovvero sei giorni più tardi) da parte del ministro all'istruzione Bernini.

 

Esattamente una settimana dopo, l'uomo che ha guidato quella preghiere che dovrebbe replicare anche al Politecnico, riceve dalle mani del funzionari di polizia una diffida a ripetere quella stessa operazione. Diffidato. Media su un incontro con i giornalisti. Ma la risposta è «No».

Tutto deve avvenire oltre i cancelli del Poli.

 

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Brahim Baya sa che gli spazi di manovra adesso sono angusti. Non è un Imam - ma questo già si sapeva - e spiega: «Ho soltanto guidato una preghiera che mi avevano chiesto gli studenti di fede islamica». La diffida? «È uno scandalo». L'Italia? «È un Paese islamofobo». La laicità dell'università? «Tutti devono poter esprimere il loro credo religioso». Gli domandano perché nel suo primo sermone non abbia parlato degli ostaggi e non abbia preso le distanze dei massacro del 7 marzo da parte di Hamas. Glissa: «Io sono contro ogni violenza sui civili».

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Ma basta cambiare la prospettiva per leggere questa giornata in un altro modo. E per capirla bisogna partire dalla richiesta di diffida a ripetere quella preghiera che il Rettore del Poli, Paolo Corgnati, invia in mattinata a Prefettura e questura. Lo fa mentre il cortile davanti all'Aula magna occupata da una cinquantina di persone (non più di venti - secondo gli osservatori - gli studenti del Politecnico che partecipano al picchetto) i gruppi pro Palestina selezionano chi - a loro dire - può entrare.

 

Lo fa perché si è alzata la voce «degli altri». Degli studenti che nulla hanno a che vedere con i collettivi che occupano. Corgnati lo dice chiaro: «C'è una maggioranza che fino a ieri era rimasta in silenzio e che mal sopporta quel che sta accadendo. Ho letto e ascoltato le proteste: tra loro ci sono anche molti studenti stranieri, libanesi e non soltanto». Di qui la scelta di chiedere alle autorità una presa di posizione. Una diffida. E difendere così la laicità dell'Università: «Abbiamo voluto dare a questa vicenda una gestione razionale e istituzionale... ».

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Baya, però, non ci sta. «È uno scandalo quel che è accaduto». Prova spiegare la sua posizione sulla laicità. Parla di libertà religiosa. Insiste: «In tutte le università che si rispettano c'è una stanza del silenzio. A Torino non c'è».

 

Lo dice in un lungo sfogo a favor di telecamere. «Insegna gratis» a chi lo ascolta il significato di jihad.

Eppure oggi è davvero una giornata differente rispetto a quelle che si sono alternate da quando le proteste e le occupazioni hanno avuto inizio. Si sono sentite opinioni fuori dal coro. Di chi vuole studiare. E al Poli di chi pretende di tornare a laurearsi nell'Aula magna occupata.

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E per usare ancora le parole di Corgnati: «Queste voci hanno cambiato la narrazione di quel che è accaduto fin qui».

Ma anche lo stesso mondo islamico non è del tutto compatto con Brahim Baya. Per dire: Amyr Jounes, egiziano, presidente del centro «Dar al Iman» non è del tutto d'accordo con le funzioni religiose negli atenei. […]