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Fabio Savelli per il "Corriere della Sera"
Aprile 2021, dieci mesi fa: con gli occhi di adesso un'era geologica. Lo abbiamo forse rimosso come riflesso condizionato (e collettivo). Però i dati, guardandoli in controluce, spiegano come lo scudo vaccinale abbia consentito di frenare l'impatto della pandemia, anche in presenza della variante Omicron molto più trasmissibile. Scampato il pericolo conviene però ricordare che cosa abbiamo vissuto proprio mentre la campagna di somministrazioni cominciava a prendere forma seppur con profonde differenze regionali.
Un alto numero di fragili e over 60 era ancora privo di copertura tanto da costringere il commissario Francesco Figliuolo, il 15 aprile scorso, a strigliare le Regioni con una circolare che le indicava come categorie prioritarie da vaccinare in fretta. L'11 aprile dell'anno scorso avevamo poi il coprifuoco alle 24 in tutto il Paese, i locali chiudevano alle 18 consentendo solo l'asporto, tavolate (e feste) erano vietate, la gran parte delle regioni presentava un allarmante (anche se in lieve miglioramento) quadro epidemiologico con una mobilità ridotta negli spostamenti. Eravamo soprattutto impotenti di fronte al «sovraccarico del sistema sanitario», messo nero su bianco dal ministero della Salute.
Perché il picco di quella ondata, la terza, era stato sì appena superato ma le terapie intensive erano affollate costringendo gli ospedali a riprogrammare gli interventi. Il monitoraggio dell'Istituto superiore di sanità di quella settimana, tra il 5 e l'11 aprile, restituiva una cartolina che ora ci sembra in bianco e nero, ma parliamo di appena 300 giorni fa. I ricoverati erano quasi 30 mila: il 6 aprile 29.337, ieri 17.354, poco più della metà. Ma sono i numeri relativi alle forme gravi a darci la differenza più evidente: nelle terapie intensive lo stesso giorno i posti occupati erano 3.743, ieri poco più di un terzo, 1.322. I dati assumono maggiore valore se consideriamo il rapporto col numero di casi.
Ad aprile si stava affacciando la variante Delta, che è poi diventata prevalente a luglio col suo indice di trasmissibilità superiore del 60% rispetto alla precedente. Ora l'impatto di Omicron ha fatto sparigliare qualunque confronto per la sua contagiosità. L'11 aprile scorso i nuovi positivi furono 15.746, ieri 75.861: dunque 5 volte tanto. Ma l'incidenza non si trasferisce sulle ospedalizzazioni e neanche sui decessi, che vanno necessariamente parametrati a questo numero di casi.
Le vittime per Covid, conteggiate dalle Regioni, furono l'11 aprile 331, ieri 325. Quasi in linea per due motivi. Primo, perché siamo probabilmente al picco di decessi della quarta ondata: la dinamica dei morti ha un andamento ritardato di due settimane rispetto ai contagi che a fine gennaio hanno oscillato tra 100 e 200 mila al giorno e ora si stanno riducendo.
Secondo, perché Omicron ha una trasmissibilità superiore di 5,4 volte alla precedente, secondo uno studio dell'Imperial College, e senza la barriera dei vaccini (e a parità di quelle misure restrittive) il conto dei decessi sarebbe nettamente più pesante. Gli studi sul tasso d'incidenza settimanale di casi Covid con forma severa, contenuti nell'ultimo monitoraggio Iss, spiegano quello che sta accadendo. Tra i 60 e i 79 anni i non vaccinati sviluppano una forma grave della malattia per 150 casi ogni 100 mila abitanti.
Per chi ha ricevuto la dose booster questo rapporto scende del 94%. Per gli over 80 il confronto è ancora più schiacciante: i non vaccinati sviluppano una forma severa secondo un rapporto di oltre 400 casi per 100 mila abitanti, per chi ha avuto tre dosi l'incidenza scende sotto 50. Merito di una campagna che ha ormai raggiunto oltre 49,3 milioni con una dose, 47,85 milioni con due, a cui aggiungere l'immunità da guarigione che riguarda ora 1,27 milioni di persone. Totale: 50,58 milioni, il 93,65% degli over 12. Quelli non coperti sono ormai una sparuta minoranza.
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