DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Stefania Miretti per “Specchio – La Stampa”
Quand'era al liceo classico Selvaggia Lucarelli dirigeva Lo Spiraglio, giornalino scolastico da lei fondato insieme con il professore di Filosofia, e capitava che sullo stesso numero firmasse l'editoriale battagliero sull'importanza di legalizzare le droghe leggere e l'articolo di consigli ironici su dove nascondersi a Civitavecchia per limonare col fidanzato. Un paio di copie sono sopravvissute al tempo - la tenace resistenza della carta - e stanno lì a testimoniare gli inizi d'un percorso che ad alcuni sarebbe poi apparso leggermente strampalato, ma di certo non a lei. «Quando lo Spiraglio mi ricapita tra le mani, realizzo quanto le cose che facevo allora assomigliassero a quelle che faccio oggi. C'erano già tutte le mie attitudini».
selvaggia lucarelli vs alessandra mussolini a ballando con le stelle
Siamo a parlare del giornalino perché quello in cui la intervisto è, casualmente, il giorno in cui Selvaggia compie gli anni, e io subito ne approfitto per scansare le fresche polemiche che la vedono coraggiosamente opporsi ai "no-vax" e "niente green pass" buttandomi su domande vaghe di stampo celebrativo.
L'infanzia, i percorsi formativi, il diventare quel che si è «Sono cresciuta in una famiglia eccentrico-borghese, intellettuale», m'asseconda lei, «I miei genitori erano entrambi appassionati d'arte, politica, storia. Mamma conosceva i nomi e le date di tutti i papati; mio padre, laureato in Legge, era anche un grande esperto di geografia, perciò passavamo molto tempo insieme a guardare il mappamondo e le cartine. Diciamo che erano entrambi attentissimi ai problemi del mondo e un po' distratti coi figli, perciò io e i miei fratelli, Brando e Fabio, siamo cresciuti godendo di molta libertà. Vivevamo in un piccolissimo quartiere tra Tarquinia e Civitavecchia, dove il passaggio di un autobus ogni ora era il legame col resto del mondo. Tutto si poteva pensare, tranne che lì potesse nascere qualcuna che se la sarebbe cavata con la comunicazione».
Invece, vocazione salda e precoce?
«Alle elementari già lavoravo ai copioni per le recite scolastiche e sì, ho sentito molto presto che in me c'era il germe della scrittura. Però una parentesi di disorientamento c'è stata: ho attraversato un periodo, crescendo, in cui mi sembrava che scrivere fosse qualcosa di poco concreto, così per un po' ho scelto il teatro. Ma non ero nata per fare l'attrice: gli attori dicono che per loro ogni replica è un'esperienza diversa, mentre per me ripetere lo stesso spettacolo ogni sera era un po' un giorno della marmotta. M'annoiavo, una cosa che scrivendo non m'è mai capitata».
Però c'è stata, e c'è tuttora, la televisione. Il piacere di esibirsi.
«Sì, certo. La televisione è arrivata per caso, come qualcosa che non avevo minimamente messo in conto. Nel 2002 avevo aperto un blog, allora eravamo poche migliaia a usare quel mezzo ed era molto facile essere notati. Mi cercarono i giornali, Il Tempo, Max, Capital, ma anche Simona Ventura. All'improvviso io, quella veniva dal nulla, quella che scriveva sul computerino in soffitta, mi sono ritrovata a dover scegliere tra la Domenica In di Bonolis e la prima Isola dei Famosi. E sai qual è la cosa che adesso mi fa più ridere? Alle mie prime esperienze televisive venivo spesso rimproverata perché intervenivo poco. Mi dicevano: sei poco battagliera, non sei abbastanza incisiva».
SELVAGGIA LUCARELLI LORENZO BIAGIARELLI
Tornando un passo indietro: ci sono letture che ti hanno aiutata a mettere a fuoco ciò che volevi essere?
«A casa c'era una stanza intera dedicata ai libri. Mamma non ci permetteva di guardare la tv, quindi divoravo un po' di tutto, i grandi romanzi russi, quelli francesi. Ma la rivelazione è arrivata con Bar Sport di Stefano Benni. Fino a quel momento avevo letto cose che facevano piangere, lì ho capito che si poteva far ridere scrivendo e che quella strada m' appassionava. I miei primi articoli erano tutti ironici».
Ti piacciono ancora, quando li rileggi?
«Sì, in realtà sì, anche se a volte ci vedo qualche ingenuità. Più che altro mi stupisce quanto si potesse osare, essere scorretti e puntuti, dieci anni fa. Oggi per alcuni di quegli articoli verrei arsa sul rogo, ho persino cancellato qualcosa, qua e là, pensando: se ritrovano questa roba, finisco dritta al tribunale dell'Aia».
Tribunali a parte, t'è mai capitato di pentirti per aver ferito qualcuno scrivendone?
«Penso che a tutti i giornalisti possa succedere di ferire qualcuno».
Te lo chiedo, infatti, da giornalista che ha talvolta sentito il disagio d'entrare nella vita delle persone.
«Il disagio c'è sempre, ma una notizia è una notizia: sai che può far male, ma se ci sono i riscontri la devi dare. A me spiace soprattutto quando una notizia investe qualcuno che è impreparato ad affrontarla, quando una critica colpisce chi non ha gli strumenti per elaborarla».
Per ferire te cosa ci vuole?
SELVAGGIA LUCARELLI LORENZO BIAGIARELLI
«Intanto non è facile: ho una certa robustezza sviluppata in vent'anni di sopportazione. La prima cosa terribile su di me la scrisse una giornalista del Messaggero tra i commenti sul mio blog. Mia madre si spaventò moltissimo: allora non c'era esperienza di questo fenomeno, se qualcuno scriveva ti odio, potevi pensare che sarebbe passato all'azione. Oggi provo dispiacere solo quando le critiche su di me investono le persone cui voglio bene, patisco quel tipo di meschinità lì».
I commenti che prendono a bersaglio il corpo, invece, ti scivolano addosso?
«Quelli non mi feriscono, mi irritano. Sono forte e strutturata, ma so che esiste un problema più ampio: l'idea che prendere di mira il corpo sia un modo per rimettere al suo posto la donna che si muove su terreni considerati maschili. Io sono una la cui opinione conta nel dibattito pubblico, una delle poche che si espongono sui social in maniera diretta, senza troppi filtri, parlando di politica e, secondo qualcuno, inquinando con materiale nazional popolare, cosa che viene giudicata imperdonabile. Nessuno direbbe mai che il tal direttore di telegiornale è frivolo perché parla di calcio, ma se noi commentiamo la politica e siamo giurate in un programma di ballo, ecco che entra in ballo la taglia di reggiseno».
selvaggia lucarelli vs aldo grasso 5
Si parla troppo di corpo, non trovi?
«Sai una vicenda che mi ha molto colpita quest' anno? Quella dell'infermiera simbolo del Covid, la ragazza bellissima che è stata invitata a Sanremo e a Venezia: non che non lo meritasse, ma è chiaro che tra tante infermiere che hanno combattuto in prima linea e mostrato sui social il proprio volto distrutto dalla fatica, s' è scelto di premiare la più bella. Così come s' è parlato moltissimo della tragica fine di Luana D'Orazio, a fronte di nessuna attenzione per altri morti sul lavoro. Sono, come minimo, scelte un po' pigre anche da parte dei media: io penso invece che le storie abbiano sempre una potenza che il corpo non ha».
lorenzo biagiarelli selvaggia lucarelli
Sulla pigrizia dei media sono più che d'accordo, invece volevo confrontarmi con te su certe coazioni a ripetere tipiche dei social. Sembra che avere degli haters sia diventata una forma di distinzione cui molti aspirano. Ci si alza al mattino e si cerca uno stagno in cui gettare il proprio sasso, magari per poi lamentarsi degli attacchi ricevuti. C'è anche un po' di responsabilità dei "buoni", nel processo d'incattivimento generale?
«No, secondo me no. Cercare il dibattito, anche in modo molto acceso, non vuol dire cercare l'insulto. Non esiste l'attenuante della provocazione e non credo che abbassare i toni sia la soluzione. Ti assicuro che, oltre un certo numero di follower, pure se ti alzi e scrivi che il sole è caldo avrai qualcuno che ti dà della stronza. Quell'odio esiste, è endemico e inestirpabile. Io sono partita lancia in resta nella battaglia contro l'odio, ma ormai noto una rassegnazione generale. Facci caso: non va neanche più tanto di moda parlarne».
In realtà, noto che qualcuno comincia, timidamente, a invocare il sollievo d'un po' di gentilezza. È forse una possibilità?
"No, guarda, non c'è una strada più gentile in questo momento. E neppure la via legale funziona, purtroppo. Ho appena vinto una causa. I due che sono stati condannati hanno fatto una raccolta fondi per pagare la sanzione amministrativa, ma per quel che dovevano a me si sono dichiarati nullatenenti».
Ok: quindi?
«Quindi, quello che faccio è mostrare ogni tanto il volto dei miei odiatori: loro cercano il palcoscenico e io glielo regalo, in modo che capiscano anche il concetto responsabilità, le conseguenze di quell'esporsi. Mi dicono che è una cosa da bulli, ma chi lo dice non ha sperimentato su di se l'urto dell'odio. Guarda Burioni: ha detto rimanete a casa, è stato investito d'insulti».
Ha detto: "a casa come sorci". Sono un'ammiratrice di Burioni, ma penso che qualcuno possa aver trovato la metafora un po' forte.
«Forse lo è, ma prova a immedesimarti nello stato d'animo di un uomo che per tutta la vita ha studiato una materia, e quando espone il suo punto di vista ci sono il pizzaiolo, l'imbianchino e il notaio che gli danno del cretino. Tutti i giorni, centinaia d'insulti al giorno».
C'è da dire che i social non sono un congresso di virologi. Torno alla domanda: polemizzare dentro quell'arena non è - anche - un modo per contribuire al casino?
«No, perché la discussione e il confronto c'interessano e per starci dentro ci prendiamo tutto, il bello e il brutto. Sui social si svolgono anche dibattiti irrinunciabili con interlocutori stimolanti. S' imparano un sacco di cose. Certo, devo ammettere che si fa sempre più fatica: non credo ci sia mai stato un momento così basso della discussione».
Pensi mai di prenderti una pausa?
«Sarebbe come dire che hanno vinto loro, gli odiatori seriali e organizzati; e io purtroppo già penso che stiano già vincendo: vedo molta prudenza in giro, un continuo aggiustamento di tiro anche da parte dei giornali. Il fazzoletto bianco non lo alzo, non arretro d'un passo».
Allora ti chiedo come ti vedi tra vent' anni.
«Io e il mio fidanzato ci siamo detti che prima o poi andremo a vivere a Udaipur. L'India è un luogo in cui ti metti a un incrocio di strada e accade tutto, non serve neanche più girare. Mi vedo così, dall'altra parte del mondo, ma sempre intenta a scrivere. Prima, però, potrebbe esserci un'esperienza nuova. Pare che Proprio a me, il mio podcast sulle dipendenze affettive, diventerà un film. Dal podcast al cinema, non avrei mai immaginato che potesse accadere»
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