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Giuliano Aluffi per “La Repubblica”
Sarà il sole a far crescere i nuovi grattacieli. O meglio: sarà l’energia solare, e pulita, a produrre il materiale di cui gli edifici del futuro saranno fatti, il legno. Che è l’anima e il corpo di grattacieli di 19 piani come la Kulturhus che si sta per costruire a Stoccolma, o di colossi di 35 piani come il centro Baobab, sorta di bamboo aerospaziale pensato per abbellire la Parigi del futuro.
Questa nuova ondata di progetti architettonici a emissioni zero, e anzi in grado di trattenere i gas serra imprigionati in pareti, pavimenti, colonne e travi, sta raccogliendo sempre più attenzione in Europa e Nordamerica ed è in realtà il recupero di una tradizione antica. Ma con ambizioni di eternità: in Giappone, ambiente piovoso e sismico, sono rimasti in piedi edifici in legno costruiti 1400 anni fa, come la pagoda a 5 piani di Horyu-Ji (607 d.c.). Se guardiamo poi alle case rurali in America, non si è mai smesso di costruire col legno, ma fino ad oggi mancavano le tecnologie adatte a sfidare le altezze di città.
Da qualche anno, però, qualcosa è cambiato. «C’è un nuovo materiale, che per capirci potremmo definire una specie di “super compensato”, che ci permette cose prima impensabili. È il legno lamellare a strati incrociati» spiega l’architetto americano Thomas Robinson, che grazie a questo materiale (detto anche Clt, cross laminated timber) tirerà su i 12 piani dell’avveniristico palazzo Framework, a Portland. Il Clt si ottiene sovrapponendo e incollando fino a sette massicci strati di legno, orientati in modo che le fibre di uno strato siano perpendicolari a quelle dei due strati adiacenti: questo accorgimento aumenta la resistenza del legno alle forze esterne.
«Il legno è più leggero del calcestruzzo, ha un ottimo rapporto tra resistenza e peso che lo rende un materiale molto competitivo con quelli più usati oggi». Tanto più che i nuovi demiurghi del legno non sono degli integralisti: «Nei miei progetti strutture e rivestimenti sono di legno, ma le fondamenta sono ancora di calcestruzzo armato, e le giunture tra i pannelli di legno sono di acciaio» osserva Robinson. «Anche l’integrazione può funzionare: la leggerezza del legno lo rende perfetto per aggiungere rapidamente nuovi piani a palazzi già in cemento».
È proprio la capienza il problema di oggi, e soprattutto di domani: per la crescente urbanizzazione del mondo e i cambiamenti climatici, l’Onu stima che 2,5 miliardi di esseri umani, entro il 2050, avranno bisogno di una nuova abitazione nelle città. Conciliare quest’esigenza insopprimibile e l’altrettanto pressante bisogno di proteggere il pianeta dai gas serra — la produzione di calcestruzzo e acciaio fanno insieme l’8% delle emissioni — è il problema. Il legno è la soluzione.
Neanche troppo rischiosa: «Di fronte al fuoco, il Clt si comporta come un grosso tronco in un falò: mentre i pezzi di legno più piccoli prendono fuoco, il tronco resiste a lungo, forma uno strato esterno di carbone che difende la parte più interna» risponde Robinson. «La velocità di questo processo è nota, così oggi sappiamo stimare lo spessore necessario a ottenere una congrua protezione antincendio».
Anche il terremoto è un nemico affrontabile: «Se rinforzato da barre d’acciaio in tensione, il legno è adatto a costruire edifici capaci di un ondeggiamento controllato che scarica, attraverso le fondamenta, le forze laterali generate dal sisma». E poi il legno pare capace di sopire anche le vibrazioni dell’anima: uno studio giapponese del 2005 ha trovato che, di fronte a un pannello di legno, la pressione del sangue scende in modo significativo, davanti a un pannello di acciaio si alza. Il legno, forse evocandoci l’idea ancestrale della foresta — cibo, vita e nascondigli — riduce la sensazione di minaccia che il sistema simpatico fa scattare in condizioni di stress. Ecco perché le nuove giungle metropolitane non potranno farne più a meno.
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