Mirko Molteni per “Libero Quotidiano”
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Dopo il danno, la beffa. A oltre dieci anni dalla strage di Utøya, il criminale norvegese Anders Behring Breivik s'è messo a scrivere dal carcere lettere folli ai parenti delle sue vittime e ai sopravvissuti, non per chiedere perdono, ma per propinare i suoi deliri.
In pratica rigira il coltello nella piaga e rinnova in tante famiglie il dolore straziante dei lutti. Il caso è stato segnalato dalla televisione norvegese NRK e fa discutere il Paese scandinavo.
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Come noto, il 22 luglio 2011 Breivik, uccise con esplosivi e fucili un totale di 77 persone fra Oslo e l'isola di Utøya, dove si teneva un raduno giovanile della sinistra. Poiché l'associazione dei famigliari delle vittime si chiama "Gruppo di sostegno 22 luglio", Breivik s'è permesso di intitolare le lettere col prepotente proclama «Caro Gruppo di sostegno, si prega di leggere e agire».
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Seguono frasi sconclusionate prese dalle sue «memorie» e dal suo «manifesto politico» in cui si fa tutta un'insalata di anticattolicesimo, antislamismo, antifemminismo, antimarxismo, senza capo né coda.
NEL TRITACARTE
La presidente dell'associazione delle vittime, Lisbeth Røyneland, commenta: «È del tutto insostenibile che un assassino di massa possa inviare lettere alle sue vittime. Immagino che lo faccia per farci reagire in modo da attirare l'attenzione. Lo descrivo come una molestia. Vuol farci sapere che è lì e vuole spaventarci, in un certo senso».
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La signora Røyneland ha perso una figlia per mano dell'assassino e non è l'unica ad aver ricevuto le sue missive. Fra i destinatari c'è un sopravvissuto, il giovane parlamentare del Partito Laburista norvegese Torbjørn Vereide, che a Utøya si salvò per miracolo mentre Breivik sparava sulla folla.
Così descrive la sua reazione alla lettera: «Ho un nodo allo stomaco. C'è qualcosa di assurdo in qualcuno che ti ha puntato un'arma contro, ha sparato e ha cercato di ucciderti, e ora ti manda una lettera. Ho sentito che il mio cuore si è fermato e che la mia giornata è diventata pesante».
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Intervistato da NRK, che gli chiedeva cosa ne ha fatto della lettera, Vereide ha risposto: «Ho fatto quello che era giusto. Mi sono preso un momento di tranquillità dopo averla letta, poi l'ho messa nel tritacarte. E lì sta bene, a strisce e a pezzi». Da più parti si chiede di impedire a Breivik quella che qualcuno considera «libertà d'espressione».
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Ma il direttore del servizio carcerario Erling Fæste ribatte: «La legge sull'esecuzione delle sentenze stabilisce che i detenuti dovrebbero essere in grado di inviare lettere a meno che ciò non possa portare a nuovi reati penali».
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Le molestie epistolari alle vittime non sono l'unico aspetto controverso della gestione del caso Breivik da parte dello Stato norvegese. Fin dal processo, chiusosi nel 2021, si era polemizzato sul fatto che il mostro era stato condannato a soli 21 anni, laddove nella maggior parte dei Paesi del mondo, per una strage di tali dimensioni ed efferatezza, avrebbe avuto l'ergastolo o la pena di morte.
BREIVIK E LA MAGLIA LACOSTE
Ma la giustiQualche anno fa gli fu negata, ma il suo avvocato, Øystein Storrvik, è ripartito alla carica e nel gennaio 2022 i giudici dovranno decidere di nuovo se rilasciarlo. Sembra improbabile dato che lui, ancora nel decimo anniversario del massacro, non si è mai pentito.
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In più, da tempo fa discutere che la sua detenzione, nel carcere di massima sicurezza di Skien, circa 120 km dalla capitale Oslo, assomigli di più a un soggiorno, per quanto blindato e in isolamento, in un albergo stellato. La sua non è infatti una cella da Alcatraz, bensì una linda camera ben ammobiliata con scrivania, libreria, computer, doccia. Eppure Storrvik, che del resto difende Breivik per mestiere, interpellato da NRK sul caso delle lettere e sulla richiesta di impedirgli di spedirle, ha sostenuto che il suo assistito «è già sottoposto a condizioni estremamente rigide».