Fulvio Abbate per https://www.huffingtonpost.it
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“Bacioni” è un saluto, meglio, un congedo stizzito, figlio della secolarizzazione pop del piccino linguaggio politico che presume familiarità da dirimpettai in slip, dunque con il resto del mondo, implicito insulto travestito da falsa cortesia, possibilmente rivolto all’altro, al “radical chic”, al “sinistro”, al “professorone”, al renitente alla propaganda sovranista. Fiori, frutti, animali del condominio dei social. Bacioni e ancora bacioni, e poco importa se lo stile è da fureria.
Nessun ministro finora si era espresso in modo così informale, di più, sbracato, postura da tramezzino, la mano a grattarsi il pacco, il ghigno da implicito ’stocazzo. Bacioni perfino come velata minaccia, volendo. Irrilevante agli occhi di chi contempla questo saluto che nei molti governi trascorsi, a maggior ragione rivestendo cariche pubbliche apicali, e ciò sia detto perfino al di là del più ampio discorso sull’irritualità lessicale del personaggio Salvini, ministro dell’Interno, vicepremier del “Governo del cambiamento”, e forse addirittura aspirante gauleiter d’Italia, del tutto irrilevante che nessuna figura delle istituzioni lo avesse fatto prima, si sia congedato con quei bacioni sguaiati.
I BACIONI DI MATTEO SALVINI
Bacioni e ancora bacioni, giusto. A prima vista un’espressione che sembra consegnare calore, simpatia e familiarità al destinatario d’ogni smack, le distanze abolite, un inutile peso, da cancellare come tutti i corpi intermedi, bacioni a conferma della deriva plebiscitaria, quindi vigilare e baciare, poi verrà anche il punire, c’è tempo, tranquilli, intanto però amore a tutti.
Forse, a pensarci bene, dato il faccione in primo piano di chi quei bacioni invia, potrebbe perfino trattarsi di un gesto intimidatorio, prima i bacioni poi arriverà anche, che so, la testa di cavallo ficcata sotto le lenzuola, come nel “Padrino”.
Bacioni. Dove, in verità, si legge scherno compiaciuto verso l’altro, antipatia certificata da La Bestia, bacioni nel senso di “… tranquillo, che tanto sappiamo dove abiti, vai, vai pure…” Bacioni come quel “dormi preoccupato” proprio del nonnismo da caserma, bacioni come gavettone che giunge in faccia direttamente dal Viminale.
I BACIONI DI MATTEO SALVINI
Bacioni che sempre, nella pronuncia salviniana, si accompagna a un sorriso studiatamente, teatralmente ottuso, orgoglio di chi lo ostenta, di chi porge l’offerta, il sorriso del ministro, la smorfia che si fa ghigno, forse “ghiglia”, direbbe Totò in un noto sketch. Bacioni amplificati dall’effetto fisheyes del primo piano, no, proprio occhio di pesce, i cellulari messi a disposizione dall’attendente alla comunicazione, e anche quest’altro, l’addetto a La Bestia, con ghigno e frangetta.
Proprio ieri, un amico che sa di storia repubblicana, commentando l’ennesima schermaglia da social di Salvini, assodata l’evidenza di una guerra civile in atto tra l’ottuso sovranista e chi cerca invece di salvare le capre e i cavoli della dialettica, ha evocato nostalgia per la grisaglia e gli occhiali in cello-metallo di un remoto ministro democristiano, Franco Restivo, al Viminale in anni cruciali, fra 1968 e 1972. Quell’altro in grisaglia mai lo avresti immaginato, metti, nei giorni di Avola o di Battipaglia o di Valle Giulia, rivolto ai manifestanti, sprezzante, con quei bacioni.
I BACIONI DI MATTEO SALVINI
Bacioni ovvero un’espressione che porta in mente perfino certe cartoline spedite da luoghi di vacanza con baretto e ghiacciolo – Lignano Sabbiadoro, Gargano o piuttosto Riccione - cartoline dove le dune sono culi di procaci ragazze, cartoline che pretendono complicità, e intanto strizzano l’occhio proprio in nome dei succitati bacioni.
Quando i pulcini lividi, stipati sempre lì nello stanzino della Bestia, suggeriscono al principale, al padrone, al Capitano di portare un bacione al riluttante, non puoi fare a meno di intuire tanfo di camerata, puzza di camera di sicurezza o di porta carraia di questura, l’eau sauvage sovranista, così almeno nella strategia delle effusioni leghiste.
Bacioni a tutti, bacioni dagli abissi, dalle grotte, dai pozzi artesiani, dai tombini del linguaggio solo in apparenza “easy”, cose che neppure Cossiga, per dire un altro, lui sì, prodigio di irritualità, anch’egli già al Viminale, ebbe mai modo di frequentare, spingendosi sul ciglio della bassezza espressiva, scherno da rivolgere alla piazza, ai cortei. Bacioni, perfetta espressione, ancora una volta, da cognati, pronti ad ammiccare, la mano sempre lì che smucina, quando sembrano dire all’amico, al compare, “… oh, sapessi i cazzi amari che ti aspettano…” Bacioni, espressione che pronunciata da nostro cognato Salvini assume addirittura tratti kafkiani. Bacioni, tranquilli, stiamo per venire a prendervi tutti, bacioni, sì, bacioni, ed è quasi amore, di più, è esattamente un’intimidazione.
I BACIONI DI MATTEO SALVINI
Eppure qualcuno ora dirà che proprio grazie a quei bacioni la politica ha conquistato finalmente un volto a portata di mano, anzi, di portineria, amato tanfo di soffritto di cipolla sovrana, di elastico allentato della felpa, bacioni come quando, nottetempo, il rimandato va a forzare il citofono dell’infame prof, quindi, a debita distanza, si gode la scena di quest’ultimo costretto a scendere in pigiama per liberare il pulsante dallo stuzzicadenti che lo faceva suonare di continuo.
Anche lì, bacioni, “professorone”, bacioni stronzo. E questo perché un bacione non si nega a nessuno, di più, i bacioni accorciano le distanze, e soprattutto consentono di fare il bullo con i refrattari, dove il potere ha finalmente agio di mostrare il proprio dito medio, come farebbe, appunto, un compagno di classe un po’ fascio e un po’ idiota.
SALVINI E I SUOI BACIONI
Bacioni come esplicita tracotanza del nuovo potere illetterato, bacioni come esperanto di una subcultura rionale che in filigrana custodisce l’inaffondabile “Me ne frego!” o piuttosto, ma questo in giornate eccezionali, l’ “Eja Eja Eja Alalà!”, saluto che i fascisti mutuarono dal residente del Vittoriale, peccato però che Salvini non sia D’Annunzio, ma assomigli piuttosto a Orso Yoghi.
Alla fine, quei bacioni, oscillano tra sfrontatezza e intimidazione, potendo rientrare perfino nel linguaggio ordinario di uno spezzapollici abilitato al recupero-crediti, con il suo vocabolario doverosamente obliquo. Va detto pure per equità che la controparte del Capitano, quando ha cercato di competere con gli irresistibili bacioni, non è andata oltre il modesto ciaone, anch’esso figlio di una koinè subculturale apparentemente ganzissima, peccato però che, pur ributtante, il combattivo “Ciaone” mai riuscì ad avere la medesima potenza balistica del “Bacioni”; spiace dirlo, ma bacioni, almeno al momento, risulta imbattibile, lo dicono i sondaggi.
I BACIONI DI MATTEO SALVINI
Perché bacioni, se proprio vuoi saperlo, mostra lo stesso greve plusvalore filosofico già riconosciuto a Pierpaolo, esatto, il giovane petulante eroe messo al mondo dagli Squallor. Sia detto sommessamente, sia detto come costatazione ennesima dell’abisso, di fronte a quel Pierpaolo e agli Squallor perfino l’altro, il quasi omonimo, Pasolini, è costretto alla ritirata. Altro che le parole di Zavattini in “Miracolo a Milano”, dove si sogna un mondo dove “Buongiorno voglia davvero dire buongiorno”.