colin farrell

“LA MIA CARRIERA ERA QUASI MORTA DOPO ‘ALEXANDER’. LEGGEVO LE RECENSIONI E MI VERGOGNAVO DI ME STESSO” – ASCESA, CADUTA E RINASCITA DI COLIN FARRELL, DAI FLOP AL BOTTEGHINO ALLA CANDIDATURA ALL’OSCAR COME MIGLIOR ATTORE PER “THE BASHEES OF INISHERIN” (“GLI SPIRITI DELL’ISOLA”) – “LE MIE SOPRACCIGLIA MI HANNO AIUTATO CON LA RECITAZIONE, SI MUOVONO INDIPENDENTEMENTE DALLE MIE AZIONI”  – VIDEO

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Estratto dell’articolo di Francesca Scorcucchi per il Corriere della Sera

 

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Fare l’attore è il destreggiarsi su una corda tesa dalla quale è tanto facile cadere quanto è difficile rialzarsi. Ne sa qualcosa l’irlandese Colin Farrell la cui carriera, lanciata da Joel Schumacher, ha rischiato di essere irrimediabilmente rovinata da Oliver Stone, che nel 2004 lo volle protagonista del flop Alexander : «Leggevo le recensioni e mi vergognavo di me stesso». 

 

Scelte rigorose e registi intelligenti (Woody Allen, Terry Gilliam, Yorgos Lanthimos) gli hanno consentito di rialzarsi. Ora finalmente arrivano i riconoscimenti. Gli spiriti dell’Isola , in Italia dal 2 febbraio, lo vede tornare a recitare con Brendan Gleeson, diretto da Martin McDonagh come ai tempi di In Bruges – la coscienza dell’assassino. The Banshees of Inisherin, questo il titolo originale, gli ha appena fatto ottenere una nomination agli Oscar come migliore attore. […]

colin farrell the banshees of inisherin 1

 

[…] Gli amici veri sono quelli dell’infanzia?

«E dell’adolescenza, fino ai quattordici anni. Sono amicizie che non necessitano di annaffiature regolari. Puoi andare, vivere la tua vita e quando ritorni sai che ci sono. Capita che viaggi, che non mi faccia sentire per un po’, ma quando riprendo il contatto è come se non fosse mai stato interrotto».

 

Sa di avere a che fare con un artista.

«Orson Wells raccontò una volta, in un’intervista, di aver sempre messo l’amicizia prima dell’arte: hai mai fatto lavorare un amico? Certo. È mai stata una scelta sbagliata? Sì. Lo rifaresti? Assolutamente sì!, diceva. Grandioso». 

 

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L’idea di tornare a lavorare insieme dopo «In Bruges» c’è da anni, vero? 

«Vero, tempo fa Martin McDonagh mi mandò un copione, poi non successe nulla. Anni dopo ricevetti un’altra versione, restava in piedi solo l’idea: un amico che non vuole più l’altro. Il resto era tutto diverso. Nella prima versione c’era più azione e, confesso, il mio personaggio era più fico. L’amor proprio era ferito ma era l’idea giusta e la storia risultava più commovente». 

 

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Chi è Pádraic? 

«È un uomo semplice. Gli basta un cielo azzurro, i prati verdi e le onde che si infrangono sulla spiaggia per essere felice. Non capisce le preoccupazioni delle menti più complesse. Nel film ho dovuto interpretare la perdita della sua innocenza. Scopre che l’umanità può essere crudele e che non ci deve essere una necessaria spiegazione alla crudeltà». 

 

Si ha l’impressione che usi le sopracciglia come uno strumento di recitazione. 

«Si muovevano indipendentemente dalle mie intenzioni, ma hanno aiutato, a quanto pare». 

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